HOME PAGE

venerdì 5 giugno 2015

DIFESA DEL "CLASSICO"

STRUMENTI PER CRITICARE IL PRESENTE

La vittoria di una studentessa del Liceo “F. La Cava” di Bovalino (Naomi Romeo, nella foto a sinistra) alle Olimpiadi regionali di lingue e civiltà classiche ci porta a ragionare sulla modernità degli studi classici in una terra come la nostra dove, in alcune zone, si parla ancora la lingua greca.
Foto del mensile IN ASPROMONTE di maggio 2015
Nell’incipit del libro “Scavi linguistici nella Magna Grecia”, Gerhard Rohlfs descrive come, nel 1368, un giovane filologo assunto dal Petrarca in qualità di amanuense “pregò il suo maestro di accordargli un lungo congedo, avendo intenzione di recarsi a Costantinopoli per studiare praticamente la lingua greca”. 

Il Petrarca si affrettò a spiegare al giovane sia i pericoli di un viaggio così lungo e sia “quanto scarso vantaggio ai suoi studi potesse offrire la decadenza in cui versava allora l’Oriente greco”.
Pertanto, “gli consigliò di recarsi, anziché a Costantinopoli, nella Calabria che era più facile da raggiungere e dove allora lo studio del greco era in pieno fervore”. Dopo aver ricordato che lo stesso Petrarca doveva la sua conoscenza della lingua greca “all’incontro fortuito col monaco calabrese Barlaam di Seminara, che aveva conosciuto nel 1342 ad Avignone”, Rohlfs elenca i nomi di dodici villaggi greci di cui “cinque hanno perduto la lingua greca nel corso del secolo scorso”. La diminuzione del territorio di lingua greca (che “almeno fino al secolo XVI racchiudeva una popolazione greca compatta” intorno al massiccio aspromontano e “si estendeva dal Capo Spartivento a sud-est attraverso le gole dell’Amendolea, del fiume S.Agata, del Calopinace e del Gallico fino a Seminara e ad Oppido”) ci deve far riflettere sul fatto scontato (ma non troppo) che la cultura, se non si difende, scompare.

Se è vero che, per Rohlfs, le nostre isole linguistiche risalgono direttamente alla colonizzazione della Magna Grecia, col tempo si rischia di avere un territorio che continueremo a definire con vanteria Magna Grecia ma dove non si parlerà più greco, poiché la nostra storia, e gran parte del patrimonio archeologico e culturale, entreranno definitivamente a far parte degli elenchi delle civiltà perdute.
Di certo, i politici italiani non ci rincuorano, soprattutto quando dichiarano che “con la cultura non si mangia”. Ed intanto non solo studi scientifici dimostrano che per ogni euro investito nel settore culturale l’impatto (diretto, indiretto e indotto) sul sistema economico è di 2,49 euro” (Studio della European House – Ambrosetti), ma, i nostri reperti trafugati all’estero diventano un’immensa fonte di guadagno (per gli altri). L’Italia, difatti, è il paese occidentale che negli ultimi secoli ha subito il più grande saccheggio di ritrovamenti archeologici. Recentemente la trasmissione televisiva Petrolio si è occupata di questo problema spiegando, tra le tante cose, in che modo al Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen i resti di un carro etrusco, sottratto furtivamente, rappresenti l’attrazione principale per i visitatori del Museo.
Anche per questo scuola e cultura devono stimolare la cognizione di un pensiero moderno che non sarà fertilizzato soltanto dalla tecnologia e dal web, ma sarà capace di progettare partendo dalla nostra identità e dalle nostre radici. 

Dal mensile IN ASPROMONTE di maggio 2015
In un dibattito che si è sviluppato su L’Espresso nel 2013, Umberto Eco, nella sua Bustina di Minerva che aveva come titolo ”Elogio del classico”,  rimarcava come il vecchio Adriano Olivetti, quando si stavano costruendo le macchine da scrivere, ma già si lavorava ai primi grandi computer, “assumeva certamente dei bravi ingegneri, altrimenti i computer non li avrebbe mai costruiti, ma non aveva esitazioni ad assumere un laureato che avesse fatto una tesi eccellente sui dialetti omerici”. Per Eco, “prepararsi al domani vuole dire non solo capire come funziona oggi un programma elettronico ma concepire nuovi programmi. E accade che gli studi classici (compreso sapere che cosa aveva detto Omero, ma soprattutto la capacità di lavorare filologicamente su un testo omerico - e avere fatto bene filosofia e un poco di logica) sono quelli che ancora possono preparare a concepire i mestieri di domani”.

Il dibattito dell’Espresso, che aveva coinvolto alcuni tra più importanti intellettuali italiani, si era sviluppato a causa della sensibile diminuzione delle iscrizioni al liceo classico. Nel nostro territorio non si hanno ancora dei dati regolari che certificano un persistente calo degli iscritti. Il liceo “Ivo Oliveti” di Locri, ad esempio, il prossimo anno avrà 88 iscritti contro i 70 del 2014/15 e i 98 del 2013/2014. Un andamento simile riguarda pure il liceo “La Cava” di Bovalino con un aumento di 10 iscritti verificatosi lo scorso anno e un nuovo lieve abbassamento che riguarderà l’anno scolastico 2015/16.

Insomma da noi l’attrazione per la cultura classica, in un certo senso, resiste, ma di sicuro ha ragione Luciano Canfora quando dice che la storia fa paura ai conservatori perché dà strumenti per criticare il presente. 

Significativo, in tal senso, è il libro Fahrenheit 451, scritto da Ray Bradbury nel 1953. Il protagonista, Montag, si unisce ad una comunità segreta per difendersi dal livellamento culturale, acritico, della popolazione che assorbe, senza reagire, programmi interattivi trasmessi di continuo (che sono l’unica fonte di istruzione permessa dal governo). I libri vengono bruciati dai pompieri, distrutti per decreto. I membri della setta segreta, quindi, imparano ognuno un libro a memoria (Omero, Virgilio ecc..). E sarà proprio la memoria di questi testi, in un futuro inquietante e senza luce, la sola speranza per riconsegnare delle risorse mentali ad un genere umano passivo e sconfitto.


DOMENICO STRANIERI

Nessun commento:

Posta un commento