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mercoledì 23 aprile 2014

LA LEGGENDA DELLA ROCCIA DI "GIULIA SCHIAVA"

Una scritta enigmatica, una morte misteriosa ed il segreto del tesoro dei briganti

Dal mensile In Aspromonte di aprile 2014

Nella prefazione del suo libro “Storia delle terre e dei luoghi leggendari “ (Bompiani, 2013) , Umberto Eco scrive che “le terre ed i luoghi leggendari sono di vario genere e hanno in comune solo una caratteristica: sia che dipendano da leggende antichissime la cui origine si perde nella notte dei tempi, sia che siano effetto di una invenzione moderna, essi hanno creato dei flussi di credenze”.
Sicuramente Eco ha ragione, principalmente per quanto riguarda le grandi utopie e le grandi narrazioni. In Calabria, invece, si vive il doppio pericolo della perdita definitiva della cultura orale (e della fantasia collettiva di un popolo) e dell’alterazione o cancellazione delle terre e dei luoghi leggendari (soprattutto quelli meno noti ma non meno affascinanti).
Qualcosa, però, si può ancora recuperare. Come la storia di un tesoro e di briganti misteriosi (tanto che non conosciamo il nome di nessun bandito) e l’epica figura di una schiava: Giulia. Ovvero una leggenda che ruota intorno ad una roccia e all’enigma di una scritta incisa su di essa.
La roccia in questione si trova in contrada “Ferrubara”, nel comune di Caraffa del Bianco (a pochi metri da due splendidi palmenti scavati nella pietra) nella terra di Francesco Minnici, un giovane che ricorda come suo nonno tramandò questo racconto a suo padre (che era anche poeta dialettale) e quest’ultimo, a sua volta, sul filo della memoria, a lui.
La leggenda di “Giulia schiava”, quindi, si trasmette oralmente da diverse generazioni. Anche perché noi calabresi, oltre all’amore per i racconti, nutriamo pure una singolare attrazione per i briganti.

Così, ho iniziato a sentire gli anziani di Caraffa del Bianco per capire cosa è rimasto di questa storia. I ricordi delle prime persone che ho ascoltato erano confusi, ma tutti rammentavano la tenacia di ricercatori che di notte scavavano nella speranza di trovare un tesoro e di avere una rivincita sulla miseria. Di Giulia, poi, si sa soltanto che era la schiava dei briganti (alcuni, però, mi specificano che era un’ancella romana) morta e seppellita accanto ad una roccia. Ecco perché da tempo immemorabile quella è “la roccia di Giulia schiava”.
La roccia
Francesco Minnici, però, mi indica un’anziana che conosce meglio degli altri questa leggenda. Si chiama Giulia Di Paola ed è lucida e assennata. Ecco cosa ricorda: <<Noi andavamo sempre a raccogliere le olive in quella zona, anche perché lì c’è la nostra terra. Io dormivo con mia nonna la quale, una notte, ha sognato una donna bellissima che diceva di essere la schiava dei briganti e di essere stata assassinata perché il suo spirito sorvegliasse un tesoro. Sempre nel sogno, la donna, che diceva di chiamarsi Giulia, fece vedere a mia nonna un tinello pieno di marenghi d’oro sulle quali era posizionata una croce d’argento.
“Se tu verrai  a mezzanotte, con la luna piena, su questa roccia - continuò la donna del sogno - e porterai il tuo bambino, allora spunterà un animale che senza fargli del male lo lambirà. Dopodiché ti indicherà il punto esatto dove si trova il tesoro”. La mattina seguente mia nonna raccontò il sogno al marito, che aveva studiato in un collegio ecclesiastico ed era un uomo colto. Mio nonno si arrabbiò dicendo: “Non capisci che quella donna ti ha chiesto in sacrificio la vita del bambino? Non capisci che vuole un altro spirito che custodisca il tesoro al suo posto per potersi liberare dalla sua condanna eterna?”. La mia povera nonna inorridì; per nessuna ricchezza al mondo avrebbe barattato la vita del suo bambino. Per qualche tempo ella sognò ancora quella schiava che, però, non le disse più nulla. Fintanto, quando si trovava in campagna, non smise di percepire altri strani segni. Un giorno, ad esempio, vide delle monete per terra, ma non le raccolse”.
Le stesse visioni della nonna della signora Di Paola, come ad esempio quella del passaggio nei pressi della roccia di una gallina con i pulcini d’oro, mi vengono confermate da altre persone che aggiungono: “C’è qualcosa di incomprensibile in quel posto, perché proprio lì gente ingenua e senza pregiudizi ravvisa da sempre cose assurde? “.

Tuttavia, in un primo momento, l’iscrizione enigmatica di cui tutti parlavano sembrava scomparsa. Ma grazie alla pazienza di un padre e un figlio (Vincenzo e Stefano Bagnato) che hanno ripulito il blocco di pietra dal muschio che lo copriva, è riaffiorato quel che rimane di essa. I caratteri sono alti una decina di centimetri, la lunghezza è poco più di un metro e, da subito, si distingueva una lettera che somigliava a una “c”.
Qualche giorno dopo, assieme a Francesco Minnici, mi sono recato a perfezionare il lavoro di pulizia della roccia e, dopo averla inumidita, non è stato difficile capire cosa vi è impresso. Difatti, la parola in questione, che verosimilmente risultava priva di significato agli occhi dei contadini, è: “Scipio*.
Potrebbe trattarsi del nominativo latino di Scipione l’Africano, ma non è facile chiarire il nesso che c’è tra il riferimento ad un condottiero romano e l’individuazione di un tesoro. Di certo è stato emozionante ritrovare dei segni che rimandano a un tempo lontano.

Ma al di là di tutto, ed in attesa di far visionare la scritta ad un esperto, è necessario chiedersi cosa c’è dietro la coscienza del nostro immaginario, cioè che valenza antropologica hanno tali leggende, quando hanno avuto origine e come sono state trasfigurate. E poi, quanto si è perso dei racconti orali e cosa non è ancora scomparso del tutto (anche nelle presenze più minute della natura).
Poiché noi calabresi, che amiamo ripetere di continuo che “fummo la Magna Grecia”, oltre a “spersonalizzare” il paesaggio reale, rischiamo di non conservare più nemmeno i paesaggi della nostra fantasia e della nostra cultura.
DOMENICO STRANIERI

* Insieme a me e Francesco Minnici c'era anche Giovanni Minnici, un giovane escursionista di Sant'Agata del Bianco. E' stato proprio Giovanni a decifrare per primo la scritta SCIPIO.

La signora GIULIA DI PAOLA

I segni della scritta 
(prima di essere ripulita completamente e decifrata)


I palmenti in prossimità della roccia di "Giulia Schiava"

N.B. Secondo uno studio del prof. ORLANDO SCULLI,
nel circondario di Ferruzzano, Bruzzano, Sant'Agata,
Caraffa del Bianco e Casignana si contano circa 700 palmenti





Vincenzo e Stefano Bagnato

Francesco Minnici



Giovanni Minnici, il primo a decifrare l'incisione della roccia
(In questa foto è accanto ad un palmento di Casignana)

Dopo aver ripulito ed inumidito la scritta, la parola SCIPIO risulta chiara.



..E SE QUELLA DI GIULIA FOSSE UNA FIGURA RELIGIOSA?

Dopo aver scritto questo pezzo mi sono chiesto: "siccome le prime Sante della cristianità erano quasi tutte delle schiave, questa leggenda può essere la trasfigurazione di una storia cristiana"?
Così ho pensato di trovare e leggere la vita di Santa Giulia. E, come spesso accade, le cose scontate possono rivelarsi anche le più sorprendenti. Difatti ho subito riscontrato delle attinenze tra la leggenda di “Giulia Schiava” e la vita di Santa Giulia. Ecco in breve quali sono tali somiglianze:


1)  Naturalmente Santa Giulia era una schiava (una storia, la sua, le cui recensioni più antiche risalgono al VII secolo d.C. anche se, nel sermone IN NATALE CATULINI, già Sant'Agostino venerava le reliquie di una Giulia insieme a quelle di altri martiri)

2) Santa Giulia era di Cartagine cioè la città conquistata da Scipione (anzi da due Scipioni, Africano ed Emiliano)…quindi la scritta SCIPIO ha un senso se considerata in questa prospettiva.

3) Santa Giulia divenne la schiava di un certo Eusebio (un mercante siriano - palestinese) e viaggiava in una nave piena di beni preziosi.

4)  Santa Giulia fu flagellata per ordine del magistrato romano Felice Sassone perchè accusata di irridere gli dei.

5)  Secondo Alfredo Cattabiani (autore del libro “Santi D’Italia”, BUR edizione digitale 2013) nel 439 d.C., quando i Vandali invasero l’Africa distruggendo Cartagine, molti cristiani perseguitati dalla popolazione barbarica (che era ariana) fuggirono attraversando il mare e portando con loro, in altre terre, le reliquie e la memoria di Santa Giulia.

I resti de "I Molinelli"
6) Nella zona della roccia di Giulia Schiava pare che anticamente ci fosse un Convento. In un apprezzo (un atto notarile) del 1707 (tradotto da Domenico Romeo e pubblicato da AGE nel 2009)  si legge, difatti, che presso i ruderi de i Molinelli “si veggono  li vestigi  d’una chiesa, ed altro edificio, che dissero stato anticamente  convento de’ P.P. Domenicani, e poco distanti si vede una fontana denominata di Calano di buona qualità e forse delle migliori…e poco di lungi si trova una cappella coverta a tetti, dove si venera l’Immagine di Nostra Signora sotto il titolo delle Grazie”. Se si considera che più a valle si trovava anche il convento di Contrada Crocefisso, si può dedurre come in questa zona ci fosse una forte presenza religiosa.

7) Ci sono diverse versioni, tuttavia, riguardo la vita di questa Santa cartaginese: per alcuni studiosi, ad esempio, ella morì durante la persecuzione di Diocleziano (che iniziarono nel 303 d.C. quando l'ammirazione dei pagani per la nuova religione era considerata pericolosa per l'Impero) e le sue reliquie furono trafugate dopo l’arrivo dei Vandali (439 d.C.). Pare, comunque, che durante l’invasione dei barbari, molti cartaginesi giunsero in Corsica, dove oggi Santa Giulia è la patrona dell’isola. Sempre in Corsica raccontano che, una volta flagellata, i resti della Santa schiava furono seppelliti sotto una roccia.

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