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sabato 26 luglio 2014

UN SET PER TIBI E TÀSCIA

Quando perdemmo il nostro Nuovo Cinema Paradiso

Dal mensile IN ASPROMONTE di luglio


L'articolo sul mensile IN ASPROMONTE

 Vattinni, chista è terra maligna! Fino a quando ci stai tutti i giorni ti senti al centro del mondo, ti sembra che non cambia mai niente. Poi parti. Un anno, due, e quando torni è cambiato tutto. Si rompe il filo. Non trovi chi volevi trovare, le tue cose non ci sono più. Bisogna andare via per molto tempo, per moltissimi anni, per ritrovare, al ritorno, la tua gente, la terra unni si nato”. 
Con queste parole, nel capolavoro di Giuseppe Tornatore del 1988, “Nuovo Cinema Paradiso”, l’anziano e cieco ex proiezionista Alfredo consigliava al giovane Totò di andarsene dalla Sicilia. Un tema, quello della fuga nella speranza di un futuro migliore, che ripercorre tutta la storia del Sud Italia e della sua letteratura. Eppure, in Aspromonte, un decennio prima del 1988, potevamo avere il nostro Nuovo Cinema Paradiso. Ma la progettazione del film fu sospesa per futili motivi economici.


Nel 1977, difatti, per le vie di Sant’Agata del Bianco camminavano uno scrittore ed un regista accompagnati dai loro assistenti. Visionavano posti, vie ancora inalterate dal futuro “partito del cemento”, sorgenti d’acqua e paesaggi. Registravano luoghi da collegare a possibili scene.
Lo scrittore in questione era Saverio Strati, nato proprio a Sant’Agata del Bianco nel 1924, mentre il regista era Angelo Dorigo che, tra i suoi tanti lavori, aveva avuto un buon successo nella direzione di “Amore e guai”, interpretato da Valentina Cortese e Marcello Mastroianni.

La pellicola doveva essere una produzione della RAI che, dopo la conquista del premio Campiello da parte di Strati, aveva deciso di girare un film tratto dal libro “Tibi e Tàscia”. Ovvero la storia di due ragazzi (Tiberio e Teresa) che, quando non svolgevano un lavoro, giocavano liberamente negli spazi aperti della loro realtà sognata. Poiché, come scrisse Geno Pampaloni, l’alternativa alla cruda esistenza del paese non era la giustizia, ma l’evasione.

 "TIBI E TASCIA" IN UN MURALE DEL BORGO DI SANT'AGATA DEL BIANCO

Tutta la narrazione, pertanto, è contrassegnata dall’avvicendarsi di fantasie, desideri di fuga ed esperienze dolorose. Tibi, alla fine, riuscirà ad andare via mentre Tàscia resterà sola, con la consapevolezza di dover vivere, per sempre, nella misera ristrettezza di un mondo chiuso.

Una consapevolezza, questa, ben espressa da Pasquino Crupi che, a tal proposito, evidenziava: “Nelle verdi e sazie campagne del Mezzogiorno gli uomini non ebbero mai età: nacquero adulti. Non esistono fanciulli, ossia esseri umani lontani dalla fatica”.
Ecco perché Tàscia si troverà in piazza, con gli altri ragazzi, ad assistere alla partenza di Tibi. “ Oh come gridava ora la macchina, - si legge alla fine del romanzo – si muoveva, correva, alzava una nuvola di polvere e portava Tibi chi sa dove, chi sa in quale mondo straordinario e tutti rimanevano lì, a guardare, e lei, Tàscia, si sentiva serrare la gola dai singhiozzi, si sentiva la bocca più amara del fiele”.
Come dicevamo prima, dunque, Strati e Dorigo avevano individuato i luoghi per tramutare in immagini questo libro del 1959. La piazzuola dove i ragazzi giocavano con le nocciole doveva essere la stessa immaginata da Strati mentre elaborava la sue pagine: nella “ruga randi” di Sant’Agata, proprio di fronte la sua casa.

Dorigo, poi, aveva visitato il centro storico di Casignana e le “sette fontane” di Caraffa del Bianco per rappresentare, esattamente, i diversi momenti di vita quotidiana. Egli era affascinato dai nostri paesi, tanto che ripeteva: “il futuro è in questi borghi, sono intatti”. Ma non solo. Pure i protagonisti del film dovevano essere del posto. Lo scrittore ed il regista, quindi, si recarono presso la locale scuola elementare per selezionare i giovani attori. Qualcuno ricorda che, per parecchi minuti, lo sguardo di Strati fu come catturato dai disegni degli alunni esposti in una parete. “Qui ci sono dei veri talenti! ”, esclamò quasi ad alta voce. Pochi giorni dopo, l’equipe che doveva occuparsi della realizzazione dell’opera cinematografica rientrò a Roma ma, per delle banali difficoltà finanziarie, la pellicola non venne mai girata.

LE SETTE FONTANE DI CARAFFA DEL BIANCO

Sembrava tutto pronto, ogni cosa era stata valutata con attenzione, ma niente. Il progetto sfumò e non se ne parlò più. Certo, noi da soli potevamo fare ben poco, non eravamo in grado di dare un seguito a quell’idea, di liberarci dalle nostre trappole mentali. E non avevamo nemmeno voglia di preservare le forme di quel mondo passato.
Oggi però, di colpo, ci accorgiamo di aver perso definitivamente il nostro Nuovo Cinema Paradiso. Del paese ammirato da Dorigo non rimane quasi traccia, così come dei due splendidi palazzi nobiliari che poteva vantare la piazza di Sant’Agata.
Ed a ragionarci bene in quella piazza arrivava ogni estate un personaggio molto simile all’Alfredo delineato da Tornatore
Si chiamava Carlo Rossi, attaccava i manifesti colorati con i film che avrebbe proiettato nel suo cinematografo estivo e andava a parlare alla gente con il tono confidenziale e scherzoso che lo caratterizzava. Ma questa è una storia nella storia, che racconteremo un’altra volta, in ritardo come sempre.


Bambini di oggi che giocano come quelli di ieri, proprio nella piazzetta che fu di Tibi e Tàscia.