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giovedì 10 ottobre 2013

IL PAESE E LA "RESISTENZA" EROICA DEI NOSTRI SCRITTORI


I nostri grandi scrittori quasi dimenticati

Dal mensile IN ASPROMONTE (Ottobre 2013)

C’è un aspetto che bisognerebbe analizzare con più franchezza e meno “amor di patria” ed è il rapporto tra gli scrittori del nostro territorio e i loro paesi d’origine. Perché se c’è una cosa che la gente “perdona” con più difficoltà è appunto il fatto di scrivere. 
Di un abile falegname tutti, in una piccola comunità, non hanno problemi a dire che è un artista, la stessa cosa succede con un bravo muratore e nessuno si sogna di osservare che nel quadro di un pittore manca il senso della profondità. 
Volto di Saverio Strati in una porta
del centro storico di Sant'Agata
Di uno scrittore, invece, non solo non viene dimenticata una virgola fuori posto o un pensiero inatteso ma verrà sempre rimarcato un difetto caratteriale o un eccessivo individualismo, magari con frasi come : “ma che ha fatto per il paese?”.
Lo hanno vissuto pure i nostri grandi scrittori, oggi pressoché sconosciuti ai giovani, questo clima poco favorevole, anche se non si sono lasciati atterrire dal fuoco incrociato del “sospetto”.
Eppure traspare sempre qualcosa, da una frase come da un silenzio.
In una corrispondenza del 7 aprile del 1955 Mario La Cava scriveva: “La provincia calabrese è troppo provincia, ecco tutto. Mancano per altro le città accentratrici, come potrebbero essere quelle siciliane, e che lo sono purtroppo in minima parte, mancano tante di quelle condizioni obbiettive per cui la resistenza dell’intellettuale, nel suo paese nativo, riveste spesso il carattere di un eroismo disperato”.

Tuttavia, se non fossero nati a San Luca, Bovalino, Careri, San Nicola di Ardore e Sant’Agata del Bianco (o in altri paesi con l’Aspromonte dietro le spalle ed il mar Jonio davanti agli occhi) quasi certamente Corrado Alvaro, Mario La Cava, Francesco Perri, Saverio Montalto e Saverio Strati non sarebbero stati gli scrittori che conosciamo.
Quel Sud che secondo Quasimodo è “dolore attivo” si è fatto parola, e ciò è stato possibile solo in alcuni luoghi precisi.

Per questo, dopo la morte del padre, Alvaro non tornerà più a San Luca. Non aveva bisogno di rinnovare antiche inquietudini, ormai il paese lo aveva dentro. Aveva stabilito definitivamente una sorta di legame silente con le sue radici che molti, però, non riuscivano a giustificare. Perché quella fuga? Vi era in Alvaro qualche intimo risentimento verso qualcuno?
Di certo non tutti compresero il suo reale valore. Dopo la morte dello scrittore, ad esempio, la moglie Laura aveva pensato di donare al Comune di San Luca gli arredi, i tappeti, i quadri, i documenti e i libri dello studio del marito ma le era stato risposto che non c’erano i locali adeguati. Così, oggi, tutto questo si trova a Reggio Calabria, nella Biblioteca De Nava e precisamente nella Sala Alvaro.

Forse ogni tempo per uno scrittore è un tempo mancato, poiché egli non pensa in tempi “economici” ma poetici. Ne deriva che la solitudine è la fatale conseguenza del suo modo di essere. Questa percezione è stata bene espressa, insieme alla “paura di essere scoperto poeta”, da Giuseppe Melina (di Sant’Agata del Bianco): “il paese lievita e si espande in un tempo sbagliato, forse anche la mia casa nasce in un tempo sbagliato. E’ un errore la sua stessa forma (il salone, ampio, la veranda, i castagni in giardino, il portico). Doveva accogliere amici. Ma sono solo.”

E a proposito di Sant’Agata del Bianco, come non menzionare Saverio Strati, il più grande scrittore calabrese vivente. Soprattutto perché Strati grande lo è davvero, anche se con il suo paese ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Gli anziani gli rimproverano di essersi dimenticato delle sue origini, di non aver aiutato la sua gente sul piano socio-politico. Ma lo scrittore, ben consapevole che “ il Sud te lo porti dentro come una maledizione”, ha sempre narrato nelle sue opere profumi, atmosfere e personaggi aspromontani, per di più in movimento, in un continuo divenire “che riempiva le città e svuotava le campagne”. E se è vero che nella sua ultima intervista non ha mai menzionato il nome di Sant'Agata del Bianco, limitandosi a dire che appena arrivato a Firenze si sentiva “prigioniero delle case” poiché il suo paese è in collina e per ventuno anni ha avuto il mare davanti, è altrettanto vero che Sant’Agata è rimasta muta quando nel 1977 Strati vinceva il Premio Campiello con il “Selvaggio di Santa Venere”.

Persino uomini equilibrati non hanno risparmiato critiche a Strati, menzionato addirittura nei versi di qualche poesia dialettale come “uomo irriconoscente e superbo”.
Eppure su una cosa mi piacerebbe scommettere. Secondo me, fra qualche anno ci sarà una presumibile Fondazione Culturale intitolata a Saverio Strati, ed allora, finalmente, lo scrittore, che oggi è ancora in vita, da morto sarà ricordato come un eroe.

DOMENICO STRANIERI





Particolare dello studio di Giuseppe Melina (1920 -2001), scrittore di S.Agata del Bianco (Foto di Simona Marfia)





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