SCRIVO E SONO LIBERO
In
carcere si scopre scrittore e ottiene vari riconoscimenti.
Ma
nessuno pubblica i suoi libri
Dal mensile IN ASPROMONTE di Ottobre 2015
A chi lo incontrava negli anni ’90, a Sant’Agata del Bianco, poteva capitare di ragionare con lui del capolavoro di Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, o di sentirsi dire che la poesia di Kipling, If (Se..) rappresenta una guida pratica di vita. Dopodiché entrava nella sua auto, accendeva il sigaro, e partiva ascoltando Rimmel di De Gregori o Eskimo di Guccini.
Nel
dicembre 2008 sul sito internet di Micheal Gregorio (firma che unisce due
persone: Daniela De Gregorio e Michael G. Jacob, autori noir di fama
internazionale) è stato scritto: “Il Premio Michael Gregorio è stato
assegnato a Giambattista Scarfone per
il suo racconto inedito, L’imprevisto.
Si tratta di una storia senza compromessi di un crimine senza compromessi,
scritto con grande abilità, chiarezza e un tocco di umorismo
sarcastico. A nostro parere, merita sicuramente di essere pubblicato! “.
Siamo nel 2015 e la tua opera rimane ancora inedita. Come mai?
Quando ho cominciato a scrivere non ipotizzavo di poter
vincere premi o altro. Credo, come ogni autore, che la necessità che ho
avvertito sia stata quella di raccontare ciò che sentivo dilagare dentro. Io ho
solamente seguito (e seguo) questo impulso. Il luogo in cui mi trovo, se non
danneggia, certamente non aiuta. Il pregiudizio fa il resto. Coloro che, come i
Michael Gregorio, vogliono conoscere realtà anche lontane dal loro vivere,
apprezzano e promuovono i vari percorsi di crescita interiore, proprio perché
nati in un luogo estremo.
Personalmente, conosco poco il mondo dell’editoria
ma, per quel che ho capito, troppo spesso rischiare di investire su un
esordiente non è ritenuto opportuno. Forse anche per
questo ci ritroviamo con delle “aberrazioni” sugli scaffali delle librerie,
magari con testi di autori che hanno partecipato a dei talk show o a qualche
programma demenziale. In concreto, si punta più sulla popolarità del “personaggio
meteora”, sulla sua momentanea notorietà, che non sul valore dell’opera. Cioè
la selezione avviene esattamente al contrario di come si dovrebbe fare. Il mio
racconto è rimasto inedito? Mi gratifica molto averlo scritto.
Sempre
nel 2008, quando hai vinto il Premio Trevi Noir, Daniela De Gregorio e Michael G. Jacob si sono recati direttamente
in carcere, a Spoleto, per consegnarti l’importante riconoscimento (il video è
stato proposto da Rai International). Cosa hai provato in quel momento?
In un luogo in cui tutto è precluso è difficile persino immaginare che domani
sarà diverso dall’oggi, perché le radicate abitudini e le rigide regole interne
presentano copie di giornate identiche, come in una sequenza senza fine. La
constatazione di aver “scomodato” persone di cultura per venire a trovarmi mi
ha regalato una grande gioia (c’era anche Sky) perché ho rotto gli schemi. Ho
pensato al riscatto nonché al recupero del tempo perduto che, per quanto
sprecato per futili cose, non è mai perduto davvero.
So
che mentre conducevi una vita “diversa”, prima di finire in carcere, eri
ugualmente attratto dai libri. In quel tempo, hai mai pensato di diventare uno
scrittore?
Mai! Ho odiato i libri di scuola perché mi erano
imposti e pur essendo stato un ottimo studente (prestavo molta attenzione alle
spiegazioni dei professori) da adulto ho amato tutti i libri che ho potuto
scegliere e leggere. Ho sempre avuto una tendenza per i romanzi. Forse perché
mi incuriosiva l’idea di come facesse l’autore a costruire trame impossibili, a
volte conseguenze di un’elaborazione nata per caso. Evidentemente tutto era
scritto nel mio destino ma non lo sapevo.
Quanti
libri hai scritto e a cosa stai lavorando in questo periodo?
Se ricordi bene, a dicembre del 2012, ti avevo
spedito una lettera in cui ti dicevo di avere iniziato a scrivere il 32° libro
(una saga familiare ambientata tra la Calabria e la Sicilia). Se hai conservato
la lettera lo riscontrerai. Quel libro, pur essendo molto voluminoso, è
diventato il primo di una tetralogia. Da una decina di
giorni ho iniziato il quarto e ultimo romanzo che chiuderà la saga e la storia.
Praticamente sto scrivendo il 35° libro.
Dove
trovi gli spunti, i personaggi e le trame delle tue storie?
Non avrei mai creduto di poter scrivere un libro.
Quando ci sono riuscito ho provato un’emozione fortissima perché, avendo letto
molto, capivo l’importanza dell’impresa. Credo che gran merito vada alla
memoria (ricordo anche ciò che non vorrei) e alle mie esperienze di vita. E’ come se avessi vissuto più esistenze e tutte hanno avuto la
loro importanza. Non a caso chi legge le mie storie si accorge che
descrivo contesti reali, proprio perché sono narrate dall’interno. Le trame dei
miei libri mantengono tre fondamentali principi: Memoria, Amicizia e Tradimento.
Di personaggi a cui assegnare un ruolo, poi, ne ho conosciuti così tanti che,
nonostante la mia fertile fantasia, con ogni probabilità non riuscirò mai ad
immortalarli tutti.
Nel
film Bronx, del 1993, diretto e
interpretato da Robert De Niro, il padre del giovane protagonista, che
frequentava un potente boss (senza curarsi del divieto dei genitori), ammoniva il
figlio dicendo: “Ricordati, la cosa più triste
nella vita è il talento sprecato”.
Meditando sulla tua vita, sugli anni di reclusione e sul tuo talento di
scrittore, ti riconosci in questo pensiero?
Credo che non esista un luogo come il carcere per
prendere coscienza di quanto lacerante possa essere constatare di aver visto
svanire persino l’illusione di avere delle capacità. Il carcere è una fucina di reduci con
esistenze fallimentari e vedere giovani pieni di vita spegnersi dietro
inclinazioni moleste, proprio perché non hanno mai scoperto di avere un
talento, è davvero un’umiliazione. Ma l’aspetto peggiore è che le potenzialità
individuali perse per strada non hanno contribuito a migliorare il contesto
collettivo, la società. E’ vero, il talento sprecato è
quanto di peggio possa capitare. Io ho scoperto in carcere le mie qualità e ho cercato
di trasformare il disagio in risorsa. Non fossi stato qui non avrei mai
scritto nulla. Che il carcere mi abbia dato l’opportunità di riscattare il mio
passato mi intristisce, sebbene sono consapevole che, se non qui, dove avrei
potuto riflettere così a lungo e giungere a queste conclusioni?
Tu
scrivi anche poesie, canzoni ed hai interpretato insieme ad altri detenuti il
brano Give
me another chance, 3° premio ex-aequo Raccorti Sociali IV edizione.
Possiamo dire che la parola ha la forza di vincere, o perlomeno combattere, il
dolore e la disperazione?
Le mie, più che poesie, le
considero filastrocche perché, quando il caso mi ha spinto a scriverle, avevano
uno scopo didattico, tanto che sono finite in un libro per bambini (Raccontami la vita) elaborato e
illustrato da un gruppo di detenuti col pallino della creatività. Gli utili
sono stati devoluti in beneficenza. Se non ricordo male credo di avere mandato
uno a tuo figlio. La canzone da te citata, invece, era attinente alla nostra
condizione (benché un’altra opportunità bisogna darla a tutti). L’anno scorso,
poi, mi sono piazzato terzo al Premio
Lunezia con una lirica su un tema tristemente attuale: la droga. La parola
ha cambiato il mondo e chi confida nella sua forza non ricorrerà mai ad altri
mezzi per redimere qualsiasi disputa. Anzi, farà di tutto affinché ognuno possa
dire ciò che pensa. Il dolore è personale e intimo, ciò nonostante una parola
detta al momento giusto può far nascere l’aspettativa che ci sia sempre una
speranza. Uno scrittore vive di parole, pensa alle scene e, inevitabilmente, ai
dialoghi. In carcere ci sono molte ragioni per cadere in sconforti di varia
natura e, quando al limite della disperazione non resta altro che Dio, ci si
affida alle parole per essere ascoltati, capiti. La parola apre nuovi
orizzonti: più se ne conoscono e meno afflitta sarà la nostra esistenza.
Come
immagini i giorni che seguiranno il tuo primo momento di libertà?
Ho saputo di gente che, libera dopo una lunga
detenzione, giunta davanti alla porta è tornata indietro. Mi auguro non mi
succeda nulla di simile. Scherzi a parte, dopo una parentesi così lunga non è
facile fare previsioni. Ma per quanto immagini di non trovare il mondo che ho
lasciato, sono sicuro che mi saprò adattare. I giorni dopo la scarcerazione
saranno una costante emozione perché mi confronterò con una realtà nuova,
sicuramente migliore di quella che mi lascio alle spalle. I miei nipoti, per
esempio, non mi hanno mai visto fuori da queste mura, né io ho potuto mai fare
una passeggiata con loro. Saranno queste prove a fare la differenza. Anche per
loro. Non vedo altro futuro che non sia nei libri, quindi continuerò a scrivere
e, chissà, magari riuscirò anche a pubblicare.
DOMENICO STRANIERI
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