La figura di Giuseppe Minnici, una mente fragile e grandiosa
Dal mensile IN ASPROMONTE di Dicembre 2014
<<Rocco mi chiudeva, abilmente, sempre la
bocca. Mi troncava da maestro la parola; mi soggiogava. A giorni lo detestavo
proprio. Spesso mi rifiutavo di uscire in sua compagnia, per non sentirmi
apostrofare e quindi sopraffare dalla sua boria e anche dalla sua, diciamolo
onestamente, intelligenza e cultura e strabiliante memoria. Ripeteva intieri
brani da Lucrezio e da Eschilo, in greco e in latino, che leggeva speditamente
e con provocazione mi diceva: “Traduci, su!”.
A ogni passo, a mo’ di
conclusione, come i contadini usavano i proverbi, ti buttava una terzina di
Dante, un’ottava dell’Ariosto, un proverbio della Bibbia, una parabola del
Vangelo, una proposizione dei presocratici che riteneva i massimi geni
filosofici di tutti i tempi>>.
Ma
è davvero esistito un personaggio così particolare, ingegnoso e brillante ma
sopraffatto dalla malattia mentale?
Nell’opera
di Strati egli era il giovane più “Risplendente”
(così lo chiamavano) del paese ma, con il trascorrere del tempo, viene
considerato un pazzo (ma non un “pazzo vero e proprio”).
Durante la prima conversazione con l’amico, Rocco dirà:” Ora voi siete in vetta, mentre io son calato
in fondo al pozzo. Sapete immaginare cos’è un pozzo senza cunicoli, senza
alcuno sbocco, senza luce se non quella che arriva da su? ”. Ed ancora: “il pozzo è più importante che la vetta, se
nel pozzo c’è la luce. E nel mio pozzo la luce non manca”.
A
Sant’Agata del Bianco, dove non è difficile accostare ad ogni personaggio di
Strati una figura reale del paese, sono sicuri: L’uomo in fondo al pozzo è Giuseppe
Minnici!
Nato
a Sant’Agata il 4 aprile 1927, Giuseppe Minnici era un poeta, un erudito dalla
memoria fenomenale, un liceale di sicuro avvenire. Tutti gli studenti in difficoltà
gli chiedevano aiuto ed egli impartiva le sue lezioni gratuitamente, rendendo
comprensibile ogni materia come solo un professore maturo riesce a fare.
Ad
un certo punto però, come scriverà anche il suo amico Giuseppe Melina, “ la sua
mente è stata turbata dalla schizofrenia. Una condanna insospettata.”
La via dove abitava Giuseppe Minnici, nel centro storico di Sant'Agata |
Si
speculerà finanche che i suoi problemi sorsero dopo una storia d’amore complicata,
una rotta imprecisa che lo ha portato a smarrirsi. Ma queste sono solo dicerie.
Come nel romanzo di Strati, anch’egli era una specie di visionario. All’inizio
degli anni ottanta, così predisse ai nipoti la sua morte: “a settant’anni andrò
nell’ingrata fossa”. E morì il 27 dicembre 1997, proprio a settant’anni. Non
sappiamo se i suoi scritti siano andati perduti o se qualcuno li custodisce. Ci
rimane ancora il titolo di un suo
racconto (“I Sommersi”) e qualche
verso: “Ti vedo cittadina, oh donna dai piedi scalzi! Il tuo abbandono aumenta
l’inerzia mia”.
Di
sicuro molti lo hanno dimenticato. Eppure non è difficile immaginarlo, con la
sua mente grandiosa per ingegno e fragilità, con quel talento che lo rendeva il
migliore di tutti ma che non ha resistito al dolore del mondo. Ci sono storie
che vanno così. Succede quando, con la forza dell’intelletto, si raggiungono
certi abissi a cui è impossibile resistere.
Alda
Merini conosceva bene questo tipo di sofferenza, l’alternanza ossessiva di
lucidità e squilibrio, per questo quando penso a Giuseppe Minnici mi piace
rileggere una frase del “Canto ferito”,
visto che anch’egli, come tanti, era “uno di quegli uomini che Dio abbandona
volentieri perché gli sono cari”.
DOMENICO STRANIERI
Sant'Agata del Bianco (RC)
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