Al sud c'è sempre uno scarto tra ciò che potevamo essere e ciò che siamo
diventati. Il resto è un eterno ritorno di discorsi, analisi (laddove chi
invoca la "sinergia" tra territori la intende pilotata dalla sua
testa e dal suo territorio) e "pensieri ciechi".
Così capita che uno scrittore come Saverio Strati, che non riusciva più a pubblicare i suoi libri perché ritenuti “superati”, riesca ancora a dirci molte cose. Le angosce di chi doveva partire ieri, ad esempio, ed aveva “due cuori” (uno che diceva “vai!” e l’altro “che vai a fare?”), raccontano gli stessi tormenti di oggi.
E poi c’è la regalía di epoca
moderna. Quasi l'obbligo a svolgere gratuitamente un’attività per un
“signorotto locale” (o votare il potente politico del momento) sperando che
questi, in futuro, si ricordi di ciò che è stato fatto o, semplicemente, per
non inimicarselo rifiutando di “essere a disposizione”.
Succede ancora in tante realtà. La differenza con il passato è quella che
non si va esclusivamente nei campi a lavorare, come facevano i personaggi di
Strati, ma il concetto non cambia: bisogna chinare la testa!
L’autore di Sant’Agata del Bianco scrisse il racconto La regalía nel 1953 e lo dedicò «Alla
memoria di Elio Vittorini». Protagonisti: un padre con una gamba rotta,
impossibilitato a muoversi e a lavorare, ed un figlio che mal sopportava di
avere “la camicia lorda di terra e di sudore”, senza paga, per ingraziarsi il
potente “cavaliere” di turno.
Non me la sentivo di parlare, con la stanchezza che avevo; perché davvero da più di un mese andavo ad annaspare nelle vigne; e annaspavo come un dannato, dato che ogni padrone ti scorticava, durante quelle giornate che ti aveva. Ma quei rimproveri di mio padre davvero mi facevano male.
Per le sue idee, il padre considerava il giovane uno sprovveduto, un
sognatore che non aveva percezione di come andava il mondo.
Tu parli col cuore di chi non ha responsabilità. Se non vai, che puoi fare più in paese? Che, forse puoi andare a chiedergli olive? E, se lui non ti dà le olive, con che ti condisci le mani? E un pugno di grano dove lo semini? Che, forse hai un pezzo di terra da zappare? Non vedi che noi non abbiamo neppure dove scavarci la fossa? Ragioni con la testa o con i piedi?.
Ma il figlio ribatteva: “Sentitevi onorato di andare a fare il servo (..)
È la più grossa fesseria, questa della regalía.
Noi dobbiamo regalare, noi che siamo poveri? E lui cosa ci regala?”.
Insomma, dove non c’è l'autonomia di scegliere un lavoro non può esserci libertà. Tuttavia, è evidente che: “Se la gente non va a raccogliergli le olive, lui (il padrone) non manda sua moglie a stare a culo a ponte sotto gli olivi; né va lui a dare tre palmi con la zappa, nei campi e nelle vigne. Lui è, perché lo facciamo noi essere”.
Ecco, Strati ci fa capire che i potenti, gli sfruttatori, i mafiosi
“sono” perché li facciamo noi "essere". E con il sudore dei poveri
saranno sempre loro i protagonisti della storia. Quella storia che non
ricorderà mai i nomi dei nostri nonni e dei nostri padri, le loro fatiche. E
non rammenterà nemmeno le nostre abbozzate "prove di esistenza”. Poiché
siamo figli di una debole mitologia contadina, di un fatalismo che ci esorta ad
accontentarci di poco. Quasi che avessimo ancora addosso gli “spiriti della distruzione”
ed i travestimenti delle antiche tragedie greche.
DOMENICO STRANIERI
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