Nella sezione del Partito
Socialista di Sant’Agata del Bianco, negli anni ’80, noi ragazzi ci sedevamo
per terra ad ascoltare i discorsi dei grandi. E quando in paese arrivata Sisinio
Zito, nella sezione delle “Baracche”, si avvertiva una
soddisfazione particolare tra la gente. Ma
perché era piacevole ascoltare un politico che aveva non solo una grande
capacità pragmatica ma anche una vasta cultura. Così, d’istinto, rammento che
si discuteva spesso del Parco dell’Aspromonte, riordino nella mente le parole
di mio padre e penso ai visi di tanti miei concittadini. Alla fine per noi
ragazzi era sempre una gioia infilare sulle magliette, all’altezza del cuore,
come uno scudetto, la spilla con il garofano rosso.
Ieri, 6 luglio, nel mio
nuovo ruolo di sindaco, durante un consiglio comunale, proprio io, che negli
anni ’80 me ne stavo seduto per terra insieme agli altri ragazzi del paese, ho ricordato
la recente scomparsa di Zito. La sala consiliare ha risposto con un lungo e affettuoso
applauso.
Naturalmente della
figura di Zito si sta parlando molto in questi giorni. Egli, come tanti
politici della prima Repubblica, è stato “vittima” della rivoluzione
giudiziaria che ha cancellato uomini e partiti. Il problema, però, è che,
malgrado la forza aggressiva delle campagne moralistiche, una nuova era non è
mai iniziata.
Personalmente, però, ho
apprezzato Sisinio anche come meridionalista. L’ultima volta che ci siamo
sentiti al telefono gli ho detto che stavo rileggendo le sue “Cronache dal
Regno” (Gangemi Editore 1992). Si è quasi meravigliato ed ha risposto:
“davvero?”. Poi ha sorriso.
Negli anni ’90, difatti, mentre avanzava
l’antimeridionalismo leghista (e politici e intellettuali, ma non tutti,
rimanevano muti) Zito scriveva le sue riflessioni che, in fondo, rappresentano un’unica
grande difesa del Mezzogiorno. E mentre si chiedeva che futuro e che voce avrà
il Sud, Sisinio riaffermava con forza che bisogna “fare la scelta di fondo che
consiste nel considerare veramente il Mezzogiorno come questione nazionale,
anzi la più importante questione nazionale, e quindi come vincolo di tutte le
decisioni politiche”.
Nel libro c’è anche un
pezzo dal titolo “Appello per Mario La Cava”, dove si reclamava l’applicazione
della legge Bacchelli per “una delle più limpide voci della terra calabrese” (che
era, in quel momento, gravemente sofferente).
Ma non solo. Anche quando si
proponevano soluzioni "dubbie" ai problemi della Calabria non mancavano le considerazioni
puntuali di Zito. Riporto qui il finale di un articolo : ” ..solo la più totale
e spaventosa ignoranza di quali sono i termini del problema ‘ndrangheta può far
pensare all’impiego dell’esercito in Calabria e cioè, in sostanza, a una nuova
guerra al brigantaggio. Ve l’immaginate il generale Angioini, sponsorizzato dal
suo collega Caligaris, che alla testa delle sue truppe entra vittorioso a
Platì, Careri, S.Luca? C’è da morire dal ridere, o se preferite dal dolore e
dalla vergogna”.
Ecco
cosa pensava Sisinio, e proseguiva per pagine e pagine. La sua era una
riflessione alta e profonda, e quindi da tramandare.
Addio,
dunque, ad un uomo che ha saputo difendere la sua gente e la sua terra, a un
socialista vero, a un meridionalista autentico.
DOMENICO STRANIERI
ARTICOLI CORRELATI: QUALE SOCIALISMO?