PUBBLICATO SUL PERIODICO "SENTIERI RESILIENTI"
(Anno 1- N.01 GIUGNO 2020)
Non ci sono più le
lapidi dei baroni Franco né il monumento
funebre con i resti dell’arciprete Vincenzo Tedesco nella chiesa di Sant’Agata del Bianco. E’ stata distrutta
ogni memoria, cancellata per sempre, durante una ricostruzione del 1954, nel
silenzio e nell’indifferenza di tutti. Non ci sono più i quadri di Nicola
Franzè, forse preservati tra i tesori di Gerace, e resta poco del palazzo
baronale che ha ospitato nel 1847 il viaggiatore inglese Edward Lear.
Tuttavia,
dal 2017, nel Borgo di Sant’Agata esiste un murale realizzato dall’artista
Andrea Sposari che riproduce un disegno di Lear tratteggiato proprio durante la
sua permanenza a Sant’Agata (e conservato all’Università di Harvard, nell'area metropolitana della città di Boston). La vista è quella
dell’altura di Cola, la collina dove
si “rintanava” Saverio Strati per scrivere “Il selvaggio di Santa Venere”. Lear
aveva 35 anni quando arrivò nel “grande palazzo puossinesco e antico” del
barone Franco (un anno prima aveva pubblicato il suo “A Book of Nonsense”) ed è singolare che nessuno, prima del 2017, lo abbia mai
ricordato, anche solo con un “segno”, nelle piazze o per le vie di Sant’Agata.
Il 6 agosto 1847, accaldato e tormentato dalla sete, Lear consumò vino e neve a
Casignana e poi si incamminò lungo il “sentiero agevole” di Faccioli (“fra boschi ricchi di castagni o per stretti
e folte siepi di terra rossa, con frondose querce sopra di noi e il mare ad est
che luccicava tra i rami”). Giunto a Sant’Agata fu ospite della famiglia
baronale, mancava solo la baronessa, gravemente ammalata. E così Lear, i suoi
compagni di viaggio e l’arciprete Tedesco, insieme ad altri venti invitati,
cenarono con i fratelli del barone ed i figli. “La volontà di accoglierci – scriverà Lear nel suo diario - cosa che abbiamo notato non mancare in tutta
la Calabria, è stata perfettamente manifestata dalla sorprendente comparsa di
maccheroni, uova, olive, burro, formaggio e naturalmente vino e neve sulla
tavola apparecchiata con una delle più bianche tovaglie di lino, e luccicante
di argenteria e cristalli”.
E’ singolare notare come in molti paesi del
nostro territorio, nella metà del 1800, era possibile bere vino e neve ad
agosto. Questo perché nelle montagne d’Aspromonte esistevano le neviere, ovvero
strutture costruite in pietra, sottoterra, dove veniva conservata la neve da
vendere in estate. Lear soggiornò poco a Sant’Agata, partì la mattina del 7
agosto, ma fece in tempo, sicuramente prima del tramonto del 6 agosto, a raffigurare
qualcosa, a pensare al fluire di una narrazione. E mentre delineava palazzi e scenari
naturali, l’artista scriveva note e sensazioni, indicava in inglese dei vigneti,
un giardino e poi appuntava che “la montagna è blu”. Ancora oggi, poco prima
del crepuscolo, il massiccio di Scapparrone, davanti a Sant’Agata, diventa di
un blu scuro che pian piano si annera prima di svanire nel buio della notte.
L’artista inglese rappresentava solo quello che vedeva, non aggiungeva o
toglieva nulla ai suoi paesaggi. Ecco perché sorprende notare che, nel suo
disegno, dalla facciata della chiesa di Sant’Agata (ex chiesa di San Nicola) si
elevano due campanili e non uno soltanto. Accanto alla chiesa, a sinistra, c’è
poi una casa bassa (spazio che nel ‘900 sarà utilizzato da Carlo Rossi per
proiettare i film del suo mitico cinema) e, subito dopo, una casa a due piani
che, come qualcuno sostiene erroneamente, non è il palazzo baronale ma, quasi
certamente, la casa della famiglia Garzia. Per riprodurre la residenza del
barone Franco, Lear avrebbe dovuto raffigurare un’altra prospettiva, una sorta
di continuazione di quella che oggi conosciamo (e della quale una copia, dal
2019, è esposta anche all’interno del Municipio di Sant’Agata).
Ma come mai la chiesa che, dal 1954, ha un solo campanile
nella parte retrostante di essa, nel 1847, per Lear, aveva due campanili? E’
solo un gioco di prospettiva poiché esisteva, quasi di fronte al palazzo
baronale, ancora un rudere della Chiesa di San Rocco (che, però, il Canonico
Oppedisano segnalava “abbattuta da una tempesta nel 1745”) ? La chiesa di San Nicola (ora di Sant’Agata)
aveva due torri campanarie ma nessuno lo ha mai scritto? Al momento si sa,
grazie ad alcune foto, che fino agli anni ‘30/40 del ‘900 esisteva un campanile
posto davanti la facciata della chiesa con una piccola cupola identica a quella
che illustrò Lear. Il secondo campanile non esiste e anche quello rappresentato
nel disegno ha una forma dissimile rispetto al primo.
Ancora oggi, quindi, rimane
il mistero, nato durante il tramonto del 6 agosto 1847, di ciò che videro realmente
gli occhi del viaggiatore inglese, che, con passione e curiosità, tratteggiava
in presa diretta istantanee della nostra storia che solo noi potevamo perdere.
DOMENICO STRANIERI
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Sant'Agata vista, oggi, dall'altura di Cola
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Sant'Agata del Bianco, disegno di E.Lear del 1847
Particolare del disegno di E. Lear
Foto Chiesa Sant'Agata, con un campanile, prima del 1954
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