Dal mensile IN ASPROMONTE di Gennaio 2015
La pagina del mensile IN ASPROMONTE |
Nel suo discorso al “Lyceum”
di Firenze del 1931, Corrado Alvaro, parlando della Calabria, raccontava che “la penetrazione all’interno è difficile, qui
molte cose della vecchia Calabria sono intatte e nuove, ed è una meraviglia,
uno stordimento imbattersi in esse”. Subito dopo, così diceva
dell’Aspromonte: ”è una montagna a grandi
terrazze; dove sono i nostri paesi e i nostri campi, negli evi remoti, si
stendeva il mare, ancora i bambini sui monti trovano le conchiglie che furono
vive alcuni millenni fa”. Ed è vero. Recuperare fossili di gusci di conchiglia,
in Aspromonte, non è così complicato. Ma non solo.
Contadini e pastori hanno
rinvenuto nei secoli scorsi anche sepolture preelleniche, cioè resti umani
seppelliti sotto grandi lastre di pietra, con il capo sempre rivolto verso est.
Laddove non c’erano aree da coltivare o alberi da tagliare (perfino durante la
guerra del Peloponneso, nel 400 a.C., Tucidide parlava del legname raccolto
sulle spiagge locresi e su quelle di Caulonia per costruire le triremi
ateniesi), qualche segno del passato si è conservato. Disboscamento, terremoti
e rovine causate dall’uomo, per fortuna, non hanno cancellato il fascino misterioso
di alcune zone rocciose. Sul mare, invece, e non solo per le trasformazioni
lungo i litorali, della civiltà greca restava ben poco già alla fine della Roma
Repubblicana, tanto che Cicerone, nel 44 a.C., manifestava tutto il suo rammarico
poiché la Magna Grecia era “ormai
completamente distrutta”.
Ma ci sono tracce più
antiche di quelle greche in luoghi appartati della nostra montagna? Ci sono caverne
e siti ove le rocce sono state scavate non solo dalle piogge ma anche da
quell’Homo sapiens che, settantamila anni fa, diede inizio alla cosiddetta
Rivoluzione cognitiva? E cosa nascondono le nostre alture che ancora non
sappiamo?
Certamente la
preistoria in Calabria è un campo di indagine in continua espansione.
Le ipotetiche impronte |
Una delle ipotesi più
avvincenti degli ultimi mesi, ad esempio, è quella dei resti di impronte di
dinosauri (o animali colossali) conservate in Aspromonte, a “Campolico”, in una
parte di territorio del Comune di Sant’Agata del Bianco. Si tratta di visibili
“orme” rotonde impresse nello strato roccioso, sempre a gruppi di quattro
calchi. Il luogo è stato esaminato da studiosi, specialisti e finanche da
ricercatori universitari del Nord Italia, i quali hanno manifestato opinioni
contrastanti.
Di sicuro è difficile
pensare a delle impronte che perdurano da sessantacinque milioni di anni, anche
se il luogo è suggestivo e forse era abitato in epoche molto remote.
E’ un’area, quella di
Sant’Agata, dove gli individui, nel corso dei millenni, non hanno apportato
grandi cambiamenti, poiché la superficie è costituita da un pavimento roccioso
inutilizzabile per qualsiasi tipo di attività. Laddove finisce il pendio, però,
si trovano delle cavità naturali che, senza sforzo, si possono immaginare come un
valido riparo per gente primitiva. Anche perché alla fine del suddetto versante
è distinguibile, quando piove, una sorta di piccolo canale scavato dall’uomo che
impedisce all’acqua di scendere sulle grotte.
Ed è proprio sopra questo
teatro naturale di pietra che troviamo gli ipotetici passi di animali preistorici,
evidenti anche in piccole pendenze, quasi una camminata in salita.
Se sia stato uno
scherzo della natura a creare qua e là, a quattro a quattro, dei segni senza un
apparente significato non è facile dirlo.
Particolare delle impronte |
Il fatto inequivocabile
è che ci sono tante realtà da scoprire nella nostra montagna, non meno che in
altri posti più famosi; come Chauvet-Pont-d’Arc, in Francia, dove, in una
caverna, si conserva l’impronta di una mano che risale a circa trentamila anni
fa, ovvero quando un individuo cercava di lasciare memoria del suo passaggio
sulla terra, quasi un soffio oltre il nulla. Ecco perché in un articolo del
1969 relativo ai primi passi dell’uomo sulla luna, Pier Paolo Pasolini scriveva:
”queste impronte mi rievocano altre
impronte”.
Da noi, invece, è una pratica
collettiva eliminare tutto ciò che può attirare curiosità e curiosi, tanto che
potremmo scrivere, senza problemi, “un’enciclopedia della distruzione
calcolata” del nostro territorio.
Probabilmente, se non
fosse stato per l’inattesa caduta di un asteroide, i dinosauri avrebbero avuto
più cura di questo mondo.
DOMENICO
STRANIERI