IL DESTINO POST-MORTEM DI VINCENZO TEDESCO
Dal mensile IN ASPROMONTE di Marzo 2015
Il 6 agosto 1847 Edward
Lear si trovava a Sant’Agata del Bianco, intento a riprodurre nei suoi disegni
le valli dove franiamo e gli scenari chiaroscuri che incorporano muti millenni.
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S.Agata del Bianco nel 1847 in un disegno di E. Lear |
Ed è proprio la morte,
o meglio, lo stesso destino post-mortem, ad accomunare due personaggi di quel
periodo: Rocco Verduci e, appunto, Don Vincenzo
Tedesco. Entrambi di Caraffa del Bianco (il primo repubblicano e il secondo
filo borbonico), erano uomini molto diversi. Tedesco, ad esempio, frequentava
la residenza signorile dei Franco ed era fedele all’ordine costituito, Verduci,
invece, si riuniva in segreto con i suoi compagni nel palazzo Borgia di
Sant’Agata, nella “ruga randi”, e sognava più diritti per il popolo, pensando, così, di
interpretare il sentire del mondo. Insomma, uno voleva fare la storia ed uno si
impegnava a scriverla (omettendo le vicende dell’altro).
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Sant'Agata, Vie delle Porte Pinte. Nella casa con il volto di donna dimorò per 46 anni Vincenzo Tedesco |
Tuttavia, dal testo
emerge ugualmente il notevole intuito storico del religioso che, nel suo
incipit, sottolinea come: “Il passato tace per noi, essendoché i nostri maggiori (non parlando degli
avvenimenti più antichi che andarono forse perduti) furono troppo avari a
scrivere, e testimoniarci i fatti loro.” Ha un grande merito, in tal senso,
Vincenzo Tedesco.
Nato il 6 febbraio
1796, divenne sacerdote nel 1819. Dopo essere stato parroco di Condoianni e
Bovalino si stabilizza, per 46 anni, a Sant’Agata del Bianco. In questo paese
l’arciprete diverrà una figura molto apprezzata, uno studioso stimato anche
fuori dal territorio reggino. A lui si devono importanti opere retoriche e
didattiche. E non solo. Il canonico Antonio Oppedisano nella sua “Cronistoria
della Diocesi di Gerace” (1932) lo elogia poiché, dopo il terremoto del 1783, la
chiesa di S.Nicola “fu riedificata dalla pietà del dotto e zelante parroco
Tedesco, che fu uno dei più benemeriti curati”.
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Vincenzo Tedesco in un disegno di Gaudio Incorpora |
Anche il prof. Gaudio Incorpora inizia il suo libro “La Luna è nera, storia romanzata dei cinque martiri” (Age, 1992) con la figura di Vincenzo Tedesco. Il suo bel racconto include, tra l’altro, una lettera del 22 luglio 1833 laddove l’arciprete scrive al Sottintendente di Gerace di avere “appreso in una confessione che in questi luoghi serpeggia una Setta sotto la denominazione di Nuovi Europei Riformati” a cui apparterrebbero pure “soggetti sospetti dei Comuni vicini (Bianco e Caraffa) come Antonio Verduci, notoriamente facinoroso”. Di certo, nel 1833 il Tedesco non poteva immaginare che, quattordici anni dopo, il figlio di Antonio Verduci (Rocco) lo avrebbe costretto a nascondersi presso il Convento dei Riformati, in C.da Crocefisso di Bianco, come uno spettatore casuale del moto insurrezionale.
Sostenitore del
Verduci nell’avventura rivoluzionaria era anche il conte Domenico Antonio Grillo
(nato a Sant’Agata nel 1801) che seguì con passione gli insorti e, da quell’esperienza,
nel 1848, trarrà le sue Memorie storiche (fonte di notizie preziose anche per
Vittorio Visalli, l’autore di “Lotta e Martirio del Popolo Calabrese
1847-1848”). Sarà proprio Grillo a narrarci come “Verduci voleva inalberare il
vessillo tricolore in Caraffa sua patria…ma l’arrivo del signor Bello, reduce
da Reggio, …gli fece cambiar progetto, e punto di riunione fu stabilito il
Bianco”, oppure che “la bandiera tricolore era portata da un Giuseppe Politanò
di Santagata, di appresso il sacerdote D. Francesco Ielasi del rione Pardesca
di Bianco, il quale a cavallo tenea colla sua destra un crocefisso”. Non si era
mai vista un’insurrezione così priva di violenza! Interessante, sempre nelle
memorie del Grillo, anche la descrizione del paesaggio, dove si evince, ad
esempio, come già nella metà dell’Ottocento si aveva consapevolezza dell’area
archeologica dell’attuale Villa Romana di Casignana (“Percorsa oramai la metà
della via, arrivati agli antichi ruderi di una città, forse Butroto, luogo or
detto Palazzi..”).
Alla fine, Grillo sarà arrestato
insieme ai capi rivoluzionari e racconterà le ultime ore dei cinque giovani che,
il 2 ottobre del 1847, “andarono alla morte con calma”. Del ventitreenne
Verduci dirà che il giorno della fucilazione “procedeva con sublime noncuranza,
quanto uno Spartano imperterrito” e pare che rifiutò persino l’ultima confessione
(episodio ribadito al Visalli da Vincenzo Verduci, fratello di Rocco, nel 1913).
Tedesco, invece, ritornerà nella sua chiesa riprendendo a officiare normalmente
le sue funzioni. Dopo il fallimento della rivolta e l’esecuzione delle condanne,
i resti di Rocco Verduci, come quelli dei suoi compagni, saranno “dispersi” in
una fossa comune, detta “la lupa”. Tedesco
si spegnerà nel 1877, dopo essere sopravvissuto al passaggio dal vecchio al nuovo
mondo che si andava formando. Le sue spoglie saranno sepolte nella chiesa che
aveva fatto ricostruire, a Sant’Agata, “vicino all’altare maggiore, con una
lapide sul pavimento..con una lunga epigrafe scritta in latino”(G. Dieni).
Eppure nel 1954 iniziarono dei lavori per restaurare la chiesa che aveva subito dei gravi danni a causa di un’alluvione. E siccome nei nostri paesi
capita spesso che quando si costruisce, nel contempo, si distrugge sempre qualcosa,
il monumento funebre di Vincenzo Tedesco venne interamente demolito dagli
operai impegnati a risistemare l’interno della struttura.
Un vecchio muratore,
ancora vivente, mi ha confermato che in quei giorni si poteva “lavorare” con
una certa libertà.
Inutile dire che, con
questo ampio margine di azione e con la mancanza di civiltà estetica che ci
contraddistingue, i resti del Tedesco scomparvero. Non si ha notizia di un loro
spostamento in un altro luogo, non si sa nulla. Lui, che aveva dedicato la vita
a quella chiesa, veniva “condannato”, dopo 77 anni dalla sua morte, a non avere
più un posto preciso dove riposare. Guarda caso, proprio come quel Rocco Verduci
che gli era stato così diverso in tutto.
DOMENICO
STRANIERI
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