Dal mensile IN ASPROMONTE di Agosto 2014
Tra le tante esperienze che si ereditano dai genitori ve ne sono alcune che sono delle vere e proprie forme d’arte, poiché non comportano nessun profitto ed impegnano un uomo per tutta la vita.
E’ il caso di Rocco Zappia, di Caraffa del Bianco, che continua
l’opera del padre, ovvero quella volontà disinteressata di fare del bene, di
essere al servizio della comunità.
Ricordo che da bambino,
quando mi trovavo dai miei nonni, proprio a Caraffa, spuntava sempre qualcuno,
arrivato da chissà dove, che chiedeva: “sapete dove abita mastro Rocco?”. Noi accompagnavamo tutti dal nostro speciale
vicino, se non altro perché, in lui, non abbiamo mai avvertito un minimo segnale
di fastidio. Eppure ne avrebbe avuto motivo, qualche volta.
Immaginiamoci una persona che accoglie chiunque nella propria casa, senza preavviso. Gente spesso sconosciuta che, quotidianamente, gli domanda di sbloccargli una spalla o di porre rimedio a una caviglia malconcia.
Mastro Rocco, quasi
seguendo un rito, prende l’olio, che usa come balsamo naturale, e con movimenti
precisi e sapienti, gli stessi che eseguiva suo padre, rimette a posto slogature,
distorsioni o lussazioni. Dopodiché offre a tutti un bicchiere di vino, da lui
stesso prodotto.
Non si è mai pagato
nell’esercizio di questa sua predisposizione naturale a curare gli altri. E gli
va bene così.
Una bella lezione laica
di altruismo, la sua, che fa parte dei meccanismi interiori della civiltà
contadina. Difatti, in un certo senso, quest’uomo rappresenta il punto di
collegamento tra la vocazione/missione di un’antica cultura ed il futuro.
Oggi mastro Rocco ha
tre figli laureati che, per motivi di lavoro, risiedono in altre regioni. Il
figlio che porta il nome di suo padre, Giuseppe, è medico.
Per questo mi piace
pensare ad un sottile filo conduttore, ad una continuità della natura umana,
che parte dal primo Giuseppe Zappia (1880-1973), che imparò dall’anziano Pietro
Pizzi di Contrada Crocefisso (Bianco) la tecnica di guarire la gente, ed arriva fino
alle nuove generazioni.
Un’apertura verso
“l’altro” che ha origine in Aspromonte e si allarga verso mondi diversi. Anche
perché, da sempre, trasmettere un’arte o un mestiere ad un figlio equivale, più
o meno, a darsi il cambio, ad essere degnamente rimpiazzati, nella corsa senza
fine della vita.
DOMENICO
STRANIERI
Sotto, il padre ed il figlio di Rocco Zappia
(dal libro di Vincenzo Stranieri "La Koinè Agro-Pastorale nella Locride, Age 2010)
Ineccepibile nello stile e nel filo di dialettica filosofica che traspare in ogni tuo pezzo. Bravo Domenico. Anzi bravissimo. Spesse volte anch'io mi son fatto condurre da tuo nonno Domenico a mastro Rocco; e anch’io, come del resto chissà quanti altri, sono rimasto folgorato da tanta sapienza e abilità, e non solo per il modo di porre rimedio a qualche improvviso malanno articolare o a qualche storta, ma soprattutto per quel suo umano senso di accoglienza, d’intesa. Mai un cenno di fastidio, mai una parola che lasciasse intendere chissà che. Accoglienza, interesse, terapia e, per finire, un buon bicchier di vino. E’ stato proprio così! E sempre lo sarà. Non c’è dubbio. Come non c’è dubbio sul fatto che Mastro Rocco Zappia rappresenta, in tutta la sua bravura e umiltà, un profondo pozzo di saggezza. Francesco Marrapodi.
RispondiEliminaOggi stavo leggendo ancora una volta quanto scrive Domenico Stranieri in questo bellissimo pezzo. Sono sul divano di fianco a Mastro Rocco (Papà) e con voce commovente leggo quanto scritto da Domenico. Mi commuovo e lui si commuove con me ed esclama.. se fossi ancora lì in Calabria potrei ancora essere utile... Tanti insegnamenti tanto amore per noi e per tutti... Grazie Papà...
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