Dal diario inedito di Giuseppe Galletta, la storia di un uomo solitario: lo "STROLAMO".
Dal mensile IN ASPROMONTE di ottobre 2014
C’è un posto, tra Sant’Agata
del Bianco e Samo da dove, pare, si vedano meglio le stelle. Si chiama
“Mendulà”, un nome legato alla considerevole presenza di alberi di mandorlo.
Mendulà, tra Sant'Agata del Bianco e Samo |
In questo luogo,
nell’800, si aggirava solitario un uomo che, per alcuni aspetti, mi piace
accostare al filosofo Eraclito (nato intorno al 500 a.C.), il quale depositò il
suo unico manoscritto nel tempio di Artemide, a Efeso (la sua città).
Eraclito (al quale si
deve, tra le tante cose, l’idea che “tutto scorre”, panta rei) pensava di aver scritto delle verità estranee alla massa.
Si dice, infatti, che mal sopportava la compagnia degli uomini e si estraniasse
dal volgo con un atteggiamento che era una via di mezzo tra l’aristocratico e il
mistico.
Il fuoco (che egli
considerava il principio di tutte le cose) distrusse la sua unica opera. Tuttavia,
ci rimane ancora qualche frammento del tipo: “Tutti gli efesi farebbero bene ad impiccarsi e a lasciare la città ai
giovani imberbi…”.
Ma facciamo un salto in
avanti di qualche millennio e ritorniamo al nostro uomo solitario dell’800.
Il rifugio dell'Astronomo |
La sua figura è
tratteggiata nelle pagine inedite del diario di Giuseppe Galletta, un maestro
di Sant’Agata del Bianco che ha insegnato in Lombardia, a Busto Arsizio, dagli
anni ’50 fino al 1976. Di Galletta (scomparso nel 2013) si potrebbe parlare in
un articolo a parte, e non è detto che non lo farò. Era il prototipo del calabrese
che emigra al Nord e, per capacità e ingegno, diventa un punto di riferimento
per la scuola e per l’intera città. Il suo metodo scolastico, che forse aveva
qualcosa dell’attivismo pedagogico di Dewey, ha appassionato generazioni di
studenti. Riusciva, difatti, a trasmettere valori e conoscenze con un uso
pratico delle materie (basti pensare all’allevamento in classe dei bachi da
seta, che, nei secoli scorsi, rappresentava una ricchezza per i paesi
aspromontani).
E’ stata Giulia, la
figlia maggiore, a parlarmi del diario del padre e a rivelarmi che tra le sue
pagine avrei trovato memorie che riguardavano le nostre comunità. Quando ho
avuto tra le mani i fogli dattiloscritti del maestro Galletta ho subito
ravvisato che, perfino nella sua chiara struttura narrativa, egli era un
precursore.
Il maestro Giuseppe Galletta |
Avete presente il libro
“Il Mondo di Sofia” (Longanesi, 2002),
divenuto un bestseller mondiale, dove il professore norvegese Jostein Gaarder
racconta la storia della filosofia parlando alla figlia? Ebbene, Giuseppe
Galletta, decenni prima di Gaarder, scriveva rivolgendosi alle figlie Giulia e
Carla, di continuo, come se stesse dialogando con loro (ed in un certo senso lo
faceva).
Tra le vicende che riemergono
da questo diario c’è, dunque, anche quella di un individuo soprannominato
l’Astronomo (in dialetto “Strolamo”).
Si tratta di Saverio
Macrì, di Sant’Agata, che, come Eraclito, era un possidente facoltoso, introverso
e privo di amore verso gli uomini.
Per questo si era
rifugiato a Mendulà, nel suo terreno di cinque ettari ricco di mandorle, ad
osservare le stelle (che erano la sua unica passione). Viveva nella più
perfetta delle solitudini, come un filosofo vecchio e stanco, in una piccola
casetta tra gli alberi che conserva ancora un’idea monastica di bellezza. In
paese lo consideravano un tipo “ombroso” anche perché, ovviamente, aveva deciso
di non frequentare nessuno, soprattutto i parenti.
Dal
diario si evince, addirittura, che “nominò unico suo erede il Re Vittorio
Emanuele II”.
Tutti
i familiari rimasero disorientati, arrendevoli dinanzi all’idea di perdere per
sempre Mendulà. Tutti tranne uno: Mastro Domenico Galletta, nonno del maestro
Giuseppe.
Pertanto,
quando l’Astronomo morì, Mastro Domenico non si diede per vinto e “indirizzò al
Re una motivata petizione che la burocrazia passò al Tribunale di Palmi”.
Successivamente, per difendersi, scelse proprio un legale di Palmi, l’avv.
Demetrio Tripepi, e si incamminò a piedi per raggiungere il suo studio. Durante
il viaggio incontrò prima dei malviventi che cercarono di derubarlo (ma egli teneva
le sue poche lire “nella toppa cucita all’interno della camicia”) e poi, in una
radura “in mezzo a una carbonaia fumante”, della brava gente che gli offrì da
mangiare.
Mastro Domenico Galletta |
Arrivato a destinazione,
l’avvocato Tripepi intese le ragioni del suo cliente e, dopo qualche tempo, gli
consegnò la Sentenza attraverso la quale il Tribunale Civile riconosceva la
madre di Mastro Domenico quale legittima erede di Saverio Macrì.
Il
fondo di Mendulà ritornava alla famiglia. Adesso bisognava depositare la Sentenza
in Pretura, a Bianco. Ma le cose si complicarono per una serie di accidenti (e
qui la vicenda diventa “manzoniana”) e la furbizia di un tale, Don Rosario (mai
fidarsi di certi “Don”), che tramava per impossessarsi del terreno.
Appena
Mastro Domenico capì di essere stato ingannato meditò di “ammazzare” Don Rosario che, con uno
stratagemma, aveva fatto sparire la Sentenza.
Ma,
grazie al buon senso della moglie e alla ritrovata armonia tra i parenti,
Mastro Domenico non perse la testa. Anzi, riuscì a tenere in pugno l’unità
della faccenda e sistemò ogni cosa. Dopodiché, redatto un documento di
quietanza, con l’aiuto di Mico Marvici, un avveduto esperto di campagna, si procedette
alla spartizione dell’eredità.
Anni '60, Giuseppe Galletta con la moglie a Mendulà |
La tenuta riprese a fiorire, come se un pennello fosse passato a ripulirne i colori. Da lontano si distinguevano i perastri e i fichi d’india (che arrossavano come una fiamma tutta la costa). Solo “il canneto non si toccava: tra le sue radici era stato sepolto lo Strolamo”.
Scrive Giuseppe
Galletta: “fu così, carissime mie
figliuole, che si evitarono disastrose conseguenze per la famiglia del nonno,
che, tuttora, ricorda il tradimento di quell’anima malvagia di Don Rosario. Il
nonno Mico sarebbe finito in galera per il torto subito. Prevalse, per fortuna,
la ragione. Vedete ragazze, non bisogna mai agire di prima furia. E’ bene
sempre far trascorrere congruo tempo
prima di prendere decisioni d’una certa importanza. La legge della faida non dà
mai buoni frutti..”.
Si dice che, anni dopo,
ogni tanto passasse da Mendulà pure il brigante Musolino. Raccoglieva qualche
ortaggio, di notte, e lasciava delle monete per far intendere che non voleva
rubare. Chissà se anche Musolino, come l’Astronomo, aveva notato che, guardando
il cielo, da Mendulà le stelle si vedono meglio!
DOMENICO
STRANIERI
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