Questa è la mia seconda intervista al Prof. Vito Teti
(Professore
ordinario di Antropologia Culturale presso l’Università della Calabria) ed è stata realizzata prima
della sua vittoria al Premio Letterario Nazionale Tropea, ottenuta il 10
Novembre con il romanzo storico “ Il
Patriota e la maestra” (Quodlibet, 2012). Di lui, profondo conoscitore dei
nostri scrittori e dell’umanità del Sud, recentemente si sono occupati i più
importanti quotidiani italiani, come Repubblica ed il Corriere della Sera. Non
per niente, proprio sul Corriere, il 13 novembre 2013, Gian Antonio Stella
scrive: “Maledetto Sud, un libro bello e
gonfio di amore struggente per il Mezzogiorno proprio perché non fa sconti alla
terra natia...Vito Teti, già autore di libri densi e dolenti sullo svuotamento
fisico e morale della sua Calabria interna (Il senso dei luoghi) e di studi
fondamentali sul razzismo anti-meridionale come «La razza maledetta», non
ne perdona una a chi ha ridotto il Mezzogiorno nelle condizioni attuali”.
Teti durante il conferimento della Laurea Honoris Causa a Saverio Strati |
Prof. Teti, Lei è
stato definito da Pasquino Crupi “un intellettuale di sinistra, che è rimasto nella
trincea ardente della Calabria e ha continuato a dire le ragioni della Calabria
contro la letteratura dei pregiudizi”. A proposito di pregiudizi: se le dico
“Aspromonte” cosa le viene in mente?
Mi vengono in
mente le percezioni, le visioni, le sensazioni che l’Aspromonte mi ha dato nel
corso di decenni di frequentazioni per ragioni diverse. Vedo nuvole alte e
alberi magici, boschi ed acque, grotte e pietre, sentieri e un vegetazione
cangiante: un paesaggio unico, incantevole e maestoso. Mi vengono in mente i
tanti paesini che stanno quasi in preghiera ai suoi piedi e ancora volti,
gesti, canti, musiche, accoglienza. E poi le innumerevoli immagini insite negli
scritti di autori come Alvaro e Perri. Mi commuove il pensiero di Polsi, che ho
visitato diecine di volte, e che ho guardato con intensità e partecipazione.
Naturalmente, si impongono anche le immagini negative che di questa splendida
montagna sono state costruite nel corso degli ultimi decenni. Penso che
dobbiamo fare di tutto per cancellare, annullare, lasciarci alle spalle questi
simboli negativi che spesso, per varie ragioni, hanno contribuito anche alcuni
abitanti dei luoghi a creare. Ci vuole uno nuovo sguardo e necessita una nuova
immaginazione per rendere Giustizia (come voleva Antonello di Alvaro) a questi
luoghi animati da giustizia, ma spesso, paradossalmente, travolti da
incomprensioni esterne e da forme di autodistruzione interne.
Negli ultimi secoli i cambiamenti storici non hanno
giovato ai calabresi. Siamo passati dal “Risorgimento tradito” alla teoria
della “razza maledetta”. Cosa dovremo ancora aspettarci in futuro?
Certo, le attese,
i sogni, il desiderio di Giustizia delle popolazioni sono state spesso tradite,
disattese, deluse. Credo che momenti come il Risorgimento e il brigantaggio, la
devozione popolare e la fatica delle persone, vadano viste nella loro
complessità, con tante sfaccettature. In altri termini, anche se il passato
rimorde, è bene pensare al presente, ribaltare le immagini negative strumentali
e spesso interessate e offrire il volto bello di questi luoghi. Il futuro è
sempre imprevedibile. Per molti filosofi il futuro è un tempo che non esiste e
per qualcuno l’Apocalisse è già avvenuta. Uscendo fuori da visioni catastrofiche
o invece da concezioni che immaginano un paradiso in terra, è bene pensare qui
ed oggi cosa ognuno di noi può fare. C’è bisogno di un’etica del futuro, di una
speranza, anche quando tutto sembra volgere al peggio.
Nel suo ultimo libro “Maledetto Sud” (Einaudi,
2013), lei sostiene che bisogna
anche fare i conti con gli stereotipi tanto che scrive : “ dobbiamo raccontarci
e assumerci noi le verità scomode, anziché negarle o farsele rinfacciare con
cattiveria dagli altri”. Insomma, anche i calabresi si devono assumere delle
responsabilità?
Penso che dobbiamo confutare
tutti gli stereotipi e i pregiudizi che ci hanno avvolto, condizionato,
esasperato. E che spesso hanno creato sfiducia, alimentato apatia e
identificazione con gli stereotipi esterni, mostrandoci esattamente come gli
altri ci volevano per meglio escluderci. Penso che però non dobbiamo essere
suscettibili e permalosi; dobbiamo riconoscere noi i nostri mali e le nostre
ombre. Spesso tra di noi siamo impetuosi fino all’autolesionismo per le
responsabilità nostre, poi diventiamo chiusi e ombrosi quando a dirci cose
sgradite sono gli altri. Amare la propria terra significa curarla, interrogarla,
capirla e anche segnalare ciò che non va, individuare i responsabili di un
degrado che spesso ci vede agli ultimi posti in negativo. Abbiamo avuto ceti
politici, dirigenti, professionisti e anche intellettuali spesso funzionali
alle politiche del Nord, salvo poi a lamentarsi e a dare la colpa agli altri.
Soggettività, senso di sé e senso di responsabilità sono termini inseparabili.
Nella pregevole ricerca “Storia dei paesi abbandonati di
Calabria” (Donzelli, 2004) ha dato “senso ai luoghi” con la fotografia e le
parole. Ci sono posti che, per vari motivi, senza un attento viaggiatore non
esistono. Qual è il valore del viaggio nell’era del predominio della tecnica?
Il viaggio come spaesamento
radicale, perdita, scoperta di sé forse non esiste più, anche perché il mondo è
diventato sempre più piccolo ed uguale e anche perché gli altri ormai vengono
da noi. Ecco, il viaggio degli emigrati che vengono da noi è forse il vero
viaggio di sradicamento, che noi dovremmo capire perché abbiamo avuto una
storia di fughe e di abbandoni. Penso poi che, comunque, viaggiare sia bello,
istruttivo, ti pone di fronte a persone e a realtà nuovi, ti fa capire anche il
valore di quello che hai lasciato, ti permette di capire anche quale è il posto
del mondo dove ti senti a casa. Senza viaggiare non puoi nemmeno tornare e non
puoi capire il senso di un’identità plurale, aperta, mobile, dinamica. Credo
che, per varie ragioni, oggi “restare” sia una forma estrema di viaggio. Ma restare
non significa comodità e immobilità, significa scelta di abitare il luogo in
cui sei nato, cambiandolo, rendendolo più bello, più vivibile, più abitabile,
insegnando anche l’arte dell’accoglienza. Vedo una dialettica e un
complementarità tra viaggiare, restare, tornare, ripartire. L’antropologia
profonda della Calabria ha molto da suggerire e da offrire in questa direzione.
Prof. Teti,
lei ha un legame particolare con gli scrittori nati in Aspromonte. Non
per niente è stato il principale sostenitore della “Laurea Honoris Causa” a
Saverio Strati conferita dall’Unical il
13 dicembre 2010. E’ eccessivo dire che la biografia letteraria dello scrittore
di Sant’Agata del Bianco è, in qualche modo, la biografia della nostra terra?
Saverio Strati è un grande
scrittore, che ha saputo cogliere le trasformazioni dell’antico mondo in cui è
nato. La sua biografia è certo la biografia della nostra terra, fermo restando
che i modi di vivere e narrare l’appartenenza sono molteplici e che ogni
biografia ha una sua dignità e un suo valore ed è rappresentativa di una
condizione ambientale, oltre che personale. Vorrei che Strati e altri scrittori
calabresi venissero, davvero, letti e meditati, spiegati nelle scuole. La
“laurea honoris causa”, di cui vado orgoglioso per il ruolo giocato, è stato un
riconoscimento e un grazie allo scrittore e all’uomo. Io quel riconoscimento,
che certo non aggiunge nulla al valore dell’autore, l’ho vissuto anche con
un’emozione personale intensa. Ho avuto il piacere di conoscere lo scrittore,
frequentarlo in Calabria, parlando sempre con sobrietà e discrezione. Strati sa narrare
e anche ascoltare.
Parlando con lei mi viene quasi impossibile non accennare
al grande Corrado Alvaro, di cui è un fine conoscitore. Oltre alla letteratura tout
court, quanto questo scrittore ha contribuito ad alimentare “un’antropologia narrata”,
ovvero un modo di leggere e raccontare l’umanità del Sud?
Alvaro è stato un grande
narratore e anche un raffinato intellettuale, un viaggiatore e un fantastico
cronista, un conoscitore di cinema e arte, un organizzatore di cultura e un
“moralista”. La sua scrittura è densamente antropologica. E la sua
antropologia, il suo continuo interrogarsi e porsi domande, diventava magicamente
letteratura. Penso, lo dico perché vorrei che la Calabria si rendesse davvero
conto dei suoi grandi uomini, che anche Alvaro, come Strati, sia, purtroppo,
più citato (a volte malamente) che non letto e studiato. Fa male, infatti,
sapere che Alvaro è considerato all’estero uno dei più grandi scrittori del
Novecento, mentre la nostra terra ne sottovaluta l’importanza.
Le foto della presentazione del libro "Maledetto Sud" nel Salotto Letterario "Calliope" di Siderno (10/12/2013)
IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DI "MALEDETTO SUD"
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