di Francesca Adeila Martino
Arroccato sulle pendici dell’Aspromonte, con lo Ionio che si apre all’orizzonte, c’è un piccolo borgo calabrese che ha scelto di sfidare l’abbandono con il linguaggio universale dell’arte: Sant’Agata del Bianco. Un tempo destinato a diventare l’ennesimo paese fantasma del Sud, oggi è un museo a cielo aperto, che pulsa di nuova vita. Quella, che fino a pochi anni fa era polvere, ora è tela. Le case non sono solo muri, ma pagine di un libro aperto sul mondo, costellate da murales, sculture e installazioni, che richiamano alla memoria lo scrittore Saverio Strati, nativo del luogo e le antiche leggende della Magna Grecia. Questo è il racconto di una tenacia ammirevole, un modello di rigenerazione urbana dove la cultura e la creatività sono diventate l’interruttore, per riaccendere la luce e la gioia di vivere in una comunità, che ha riscoperto la forza della propria identità.
A Sant’Agata del Bianco, l’arte non è solo un abbellimento, ma un vero e proprio piano di rinascita firmato da un giovane sindaco, Domenico Stranieri, giornalista pubblicista e blogger, che ha scelto i libri come strumento di governo. Il primo cittadino con un solido background letterario, ha trasformato l’oblio in opportunità, trasformando il borgo in un’incubatrice di creatività e memoria. Le sue strategie, che spaziano dal Festival “Stratificazioni”, dedicato all’illustre scrittore, all’inaugurazione del singolare Museo delle Cose Perdute, non sono semplici eventi, ma azioni concrete di rigenerazione urbana. Ogni vicolo, ogni facciata, è stata convertita in una tela o in una pagina, ispirata dai personaggi e dai racconti dell’autore calabrese, in particolare da Tibi e Tascia. Stranieri ha dimostrato che si può oltrepassare l’inerzia dello spopolamento, utilizzando la propria identità storica e letteraria per “caricare” il futuro, creando un modello di sviluppo dove la cultura non è un costo, ma la risorsa più preziosa. Ma, la luce, che oggi rischiara le vie di Sant’Agata non è solo quella dei lampioni, che potrebbero rappresentare una metafora, ovvero quella piccola, costante speranza, che non si spegne mai, il segnale che anche nel momento più buio, non siamo lasciati completamente soli. E quando la nebbia si alza, trasformando i fasci luminosi in dischi d’oro lattiginoso, il lampione non è più solo una fonte di luce, ma un soggetto pittorico, un punto fermo che rende magico l’ambiente circostante. Assolve così la sua funzione più alta: non solo illuminare la strada, ma accendere l’immaginazione.
Dunque, si tratta di un bagliore più antico e
poetico, riflesso da un satellite celeste: la Luna. È qui, che nasce e si
sviluppa l’idea dietro il titolo del libro “Solo come la luna”, scritto dal
sindaco Domenico Stranieri, edito dalla casa editrice: “Rubbettino”, nella
collana “Varia”, ed è una ricerca/biografia intellettuale sull’opera di Saverio
Strati. Le pagine del volume rimandano all’essenziale, alla semplicità
dell’essere, con tutte le sue contraddizioni, dubbi e verità assolute
soggettive. Il titolo, che nasce dalla constatazione di Strati di sentirsi
“solo come la luna” nella sua distanza dai luoghi natii, è stato qui
riabilitato come un’ode alla forza interiore. Non solitudine, ma la capacità di
brillare autonomamente, di resistere all’oblio. E allora in un’epoca dominata
dal consumo, dall’effimero e dalla velocità, sembra che Sant’Agata del Bianco
offra un rifugio sicuro, proponendo una filosofia semplice, ma radicale, ovvero
di non provare paura di tracciare il proprio cammino, anche se questo potrebbe
fare sentire la persona “soli come la luna” nelle scelte controcorrente. A
volte, è necessario imparare a tenere accesa la propria luce, perfino quando
tutto attorno è buio, proprio come i giovani personaggi di Strati che, pur
provenendo dal Sud rurale, hanno sempre avuto una fame inestinguibile di
conoscenza e cambiamento. Dunque, Sant’Agata del Bianco non celebra solo un
autore, ma regala ai suoi giovani la metafora perfetta, per un futuro
coraggioso: non è la solitudine a definirti, ma la tua capacità di resilienza e
di illuminare il buio.
1. Dal giugno 2016 ricopre la carica di Sindaco di Sant’Agata del Bianco. Cos’è cambiato da allora?
Quando
nel 2016 sono diventato sindaco, Sant’Agata del Bianco rischiava di scivolare
lentamente nell’invisibilità, come tanti centri dell’entroterra. Abbiamo
pertanto provato a compiere un gesto semplice ma radicale: reinventare il
nostro mondo partendo da una frase di uno scrittore del luogo, Giuseppe Melina,
che abbiamo installato all’entrata del paese: «Il segno che caratterizza l’uomo
di Sant’Agata è l’arte. Penso a un gene che emerge (e senza interruzioni) dal
fondo greco della nostra cultura». Da lì è nata una rigenerazione artistica e
urbana che non è stata un abbellimento passeggero, ma una nuova forma di
“contratto sociale”: un patto fondato sulla partecipazione e sull’idea che la
bellezza potesse diventare collante, identità e responsabilità condivisa.
Festival, musei diffusi, residenze artistiche e progetti culturali hanno
rimesso in circolo energie nuove, spingendo i cittadini a diventare custodi
attivi del proprio territorio. Così Sant’Agata è diventato un vero museo a
cielo aperto, visitato da migliaia di persone. Non era affatto scontato vedere
una coppia arrivare da Bolzano per trascorrere qui l’inverno in smart working,
né assistere alla nascita di nuove attività o alla creazione di un progetto di
albergo diffuso avviato da un architetto santagatese che vive a Torino. Questa
esperienza ci ha dimostrato che i piccoli paesi non sono condannati: serve una
cittadinanza che non aspetta, ma immagina e costruisce. Il messaggio che nasce
da Sant’Agata è semplice: se è possibile qui, è possibile ovunque.
2. Dal 2012 promuove il Festival “Stratificazioni”. Qual è un momento a cui si sente particolarmente legato?
Il
Festival Stratificazioni, nato nel 2017, già nel nome racchiude la sua
identità: non solo il richiamo a Saverio Strati, ma le stratificazioni della
nostra cultura – musica, teatro, letteratura, storia. Negli anni, nel nostro
paese si sono esibiti artisti come Lodo Guenzi, Luca Ward, Michele Placido,
Alexia, Karima, Mietta, Peppe Servillo, Javier Girotto, Modena City Ramblers,
Peppe Voltarelli, Fabio Nirta, Rashmi Bhatt, Manuela Cricelli, Paolo Sofia,
Mimmo Cavallaro, Antonio Tallura, Nour Eddine Fatty e tanti altri, soprattutto
calabresi, che meriterebbero maggiore attenzione. E poi gli scrittori, sempre
generosi e disponibili, che hanno dimostrato di assomigliare davvero a ciò che
scrivono e raccontano. Uno dei momenti più intensi è stato Stratificazioni
2020: sei ore di musica dal tramonto alla notte, con centinaia di giovani
seduti sulle rocce di Campolico. Anche il Convegno del Centenario di Saverio
Strati, con studiosi e istituzioni, ha segnato un punto altissimo nella
consapevolezza culturale del territorio.
3. L’amministrazione ha realizzato un percorso artistico divenuto modello di bellezza e memoria. Potrebbe raccontarci la storia dei murales?
All’inizio
abbiamo preso i romanzi di Saverio Strati e li abbiamo portati sulle pareti
delle case, trasformando il suo universo verbale in materia urbana. Non per
decorare, ma per affermare che i luoghi parlano e che esiste una presenza umana
capace di raccontarsi attraverso l’arte. Prima dei murales, però, c’è stata la
parola: ricerche, memorie, storie recuperate. Poi i murales hanno dato forma
visiva a quelle storie. Per questo esiste un unico filo conduttore che unisce
il primo graffito – un semplice interruttore della luce – all’ultimo murale
nella parte alta del centro storico. I murales e le installazioni che oggi
caratterizzano Sant’Agata del Bianco sono in gran parte opere di artisti
santagatesi – Antonio Scarfone, Antonio Zappia, Andrea Sposari e Vincenzo
Baldissarro – che, attraverso il loro lavoro, hanno trasformato il paese in un
racconto a cielo aperto, costruito dall’interno e non calato dall’esterno.
Restituendo nome e memoria ai luoghi, la bellezza a Sant’Agata è diventata bene
comune. Con il tempo il paese ha accolto anche figure universali – Artemide,
Dante e Beatrice, la Ragazza afghana – intrecciando le radici locali con i
riferimenti globali. È il segno che la nostra identità dialoga con il mondo.
Rendere Sant’Agata del Bianco più bella – attraverso i colori dei murales, le
piazzette del centro storico ripensate per gli eventi, le installazioni
artistiche e la musica – ha significato accendere orgoglio e cura nei residenti
e, allo stesso tempo, creare una nuova attrazione per l’esterno. Anche la
musica ha avuto un ruolo importante, grazie all’impegno degli artisti
santagatesi Romano Scarfone e Francesco Romeo (che hanno recuperato centinaia
di versi dei poeti contadini). Chi arriva qui, che sia uno studente, un
viaggiatore o un anziano che torna al paese natale, percepisce subito che la
bellezza non è chiusa in teche: è ovunque, gratuita e contagiosa.
4. Saverio Strati avrebbe compiuto 100 anni nel 2024. Quanto ha influito sulla letteratura e la sua memoria è stata ferita in Calabria?
Saverio
Strati ci ha lasciato una vera e propria geografia morale, una lente attraverso
cui leggere il nostro mondo. La sua opera è tra le più significative del
Novecento: emigrazione, ingiustizia sociale, mutamenti antropologici, potere
politico e mafioso attraversano le sue pagine con lucidità e forza. In Calabria
si è spesso detto che sia stato dimenticato, ma oggi qualcosa sta cambiando. Il
Convegno del Centenario tenuto a Sant’Agata ha restituito Strati al dibattito
nazionale. Leggerlo oggi è un atto di resistenza: la sua lingua, asciutta e
potente, continua a parlare ai giovani e a ricordarci che dignità e memoria
possono diventare strumenti di trasformazione.
5. Molti borghi calabresi si spopolano, ma Sant’Agata del Bianco resiste. Quale narrazione avete avviato?
Le
cifre confermano ciò che la letteratura racconta dalla metà del Novecento: in
Calabria molti comuni hanno perso quasi metà della popolazione in pochi
decenni. Il paesaggio stesso ne soffre. Saverio Strati, tornando nel suo
Aspromonte alla fine degli anni ’70, descriveva la desolazione di colline un
tempo vive di voci e oggi silenziose: «È un paesaggio selvaggio che può
incantare un poeta; ma è anche un paesaggio che avvilisce l’uomo… una bellezza
nella desolazione che dà una sensazione di sfascio, che è dell’uomo, non della
natura». Secondo noi il futuro dei paesi passa dalla capacità di riconfigurare
l’esistente: non restaurare il passato, ma renderlo vivo. Restare significa
migliorare ogni giorno il proprio territorio e costruire narrazioni autentiche,
legate alla storia, alla cultura e alla complessità del luogo. Ovviamente, per
costruire un futuro servono servizi. L’analisi territoriale mette in luce la
straordinaria varietà delle aree interne italiane e la necessità di interventi
differenziati. Solo partendo dallo studio del territorio e dalla conoscenza
della sua storia culturale e antropologica è possibile avviare una
trasformazione concreta, un progetto a lungo termine, una visione capace di
costruire nuove vie – e non solo nuove strade – anche nelle realtà più
difficili e marginali. Questa rivoluzione dal basso ha però bisogno di
condizioni favorevoli: politiche nazionali coraggiose, investimenti mirati, una
burocrazia più snella, formazione per i talenti locali, incentivi per chi
decide di tornare. Il Sud e le aree interne devono diventare una priorità
nell’agenda nazionale, non un pensiero secondario. Servono fondi, certo, ma
soprattutto visione, perché senza visione ogni finanziamento rischia di
disperdersi. La letteratura, l’arte e la memoria ci forniscono le parole; la
passione civile e politica dovrebbe fornirci le azioni, non nuova propaganda.
6. “Solo come la luna”. Perché questo titolo? Cosa vuole trasmettere ai giovani?
Il titolo nasce da una frase di Saverio Strati che si trova nell’incipit del romanzo Tutta una vita: «Sei stanco e avanti negli anni, solo come la luna, da tempo ormai». Quando lessi quelle parole rimasi colpito dalla potenza poetica dell’immagine. Strati, con il tempo, si sentiva lontano dai suoi luoghi e dalle persone, un po’ come la luna che brilla solitaria nel cielo. Ma per me la luna non è solo solitudine: è anche simbolo di memoria e di rinascita. Borges parlava della luna come “specchio del tempo”: in quella luce fragile eppure eterna c’è l’idea che il tempo passi, ma ritorni, e che nulla vada davvero perduto se sappiamo ricordare. Viviamo in un’epoca frenetica, in cui tutto si consuma e si dimentica. La luna, invece, ci ricorda che le cose essenziali ritornano, se custodiamo la memoria. Nelle storie di Strati le vicende marginali diventano universali, e la letteratura continua a dirci chi siamo. Questo è ciò che vorrei trasmettere ai giovani: l’importanza di conoscere le proprie radici, anche quelle più umili o dolorose, perché è lì che si trova la forza per immaginare il domani. I giovani personaggi di Strati spesso non vogliono assomigliare ai loro padri: hanno fame di conoscenza e desiderio di cambiamento. Ai ragazzi dico: abbiate il coraggio di tracciare strade nuove senza dimenticare da dove venite. Non abbiate paura di sentirvi “soli come la luna” nelle vostre scelte controcorrente. A volte bisogna imparare a brillare da soli, a tenere accesa la propria luce anche quando attorno è buio.
