Il racconto privato della magia del calcio
Tra i 12 e i 13 anni,
frequentavo la scuola media a Saronno, in provincia di Varese. Era il 1990 e ancora
passavano i treni a lunga percorrenza dalla stazione di Bianco e dalla Locride.
Quando aspettavamo il convoglio che doveva portarci a Milano, e che appariva lunghissimo
rispetto alle misure che eravamo abituati a veder sfrecciare lungo la costa, si
assisteva sempre alla solita scena, coraggiosa e incosciente, di persone che si
aggrappavano agli sportelli del treno in corsa per occupare una cabina prima
degli altri (“gli altri” erano coloro che salivano normalmente, quando il treno
si fermava).
Il rischio assicurava un posto
comodo ai propri cari. Chi era meno scaltro e meno acrobatico, invece, sostava
nel corridoio per tutta la durata del viaggio. A dire il vero c’era sempre
qualche uomo che faceva sedere le donne rimaste all’impiedi e, nel tragitto
che sembrava interminabile, io leggevo l’Intrepido
o qualche altra rivista che oggi non esiste più.
Arrivato in Lombardia, per
un ragazzo abituato a correre libero, in un paese posto su una di quelle colline del Sud Italia
che si elevano davanti al mare, i pomeriggi passati al sesto piano di un anonimo condominio sembravano (e lo erano) di una noia ineguagliabile. Cercavo di inventarmi qualcosa, una
formazione della Juve (avevamo, ahinoi, Oleksandr Zavarov con il numero 10) o della
nazionale italiana, prefigurando le “notti magiche” che avremmo vissuto in
estate.
Ad aprile del 1990, quasi
per gioco, decisi di inviare una delle squadre che immaginavo proprio al settimanale
Intrepido. La mia lettera fu pubblicata il 24 aprile del 1990, e sulla copertina
della rivista c’era una foto di Maradona. L’articolo, che raccontava un Maradona
“ritrovato” che puntava a vincere scudetto e mondiale, era a firma di Massimo Gramellini
(oggi editorialista del Corriere della Sera).
Malgrado io fossi
juventino, adoravo il campione del Napoli. Quando giocava rimanevo folgorato, avvertivo la trasformazione di ogni peso in leggerezza, o in grazia, come ben descrive Alessandro D’Avenia in un
articolo dal titolo “Il bandito e il campione” del 30 novembre 2020: “Un corpo
che è insieme di carne e, in qualche modo, di luce, che poi è la struttura
stessa dell’universo...".
Per qualche decennio, dimenticai
quell’Intrepido, che però conservo ancora, ma quando dovetti far cogliere esattamente a mio
figlio la magia del calcio gli raccontai di Maradona. Gli feci vedere i filmati dei palleggi,
i goal, gli spiegai cosa significhi giocare alla Bombonera (lo stadio del Boca
Juniors) e perché Maradona scelse di non vestire la maglia del River Plate (società
più ricca rispetto a quella rivale del Boca). E, infine, gli parlai dei Mondiali,
della partita contro l’Inghilterra, e di cosa succedeva a Napoli quando giocava
Maradona.
Mio figlio, non potendo
tifare per Diego, trasferì la sua passione su Messi e l’Argentina…fino al 25
novembre 2020, giorno in cui mi ha inviato un sms: “Pa…è morto Maradona”.
Proprio lui, il bambino che, con la sua innocente disposizione del cuore, ascoltava le mie storie, e proprio a 12 anni (la mia stessa età tra il 1989/90, quando scrivevo formazioni della Juve sognando di contrastare lo strapotere del Napoli e del Milan).
Mi invase una malinconia
opaca, come se con Maradona se ne andassero via tanti frammenti di passato.
Non ho mai giudicato l’uomo,
soprattutto perché egli stesso sapeva di sbagliare e lo diceva pure. In fondo, nella tragedia
della vita, molti grandi artisti brillano di una luce nuova, hanno un loro lato
epico (specialmente quando scelgono la difesa naturale dei più deboli), e alla
fine si autodistruggono.
Ha ragione Mario
Sconcerti che, in uno dei suoi libri dedicati al calcio, spiega chiaramente: “Maradona
non è mai stato un equivoco. Ha vissuto da eroe, solo in mezzo agli eccessi.
Venale, generoso, romantico, assolutista, senza un dubbio veramente morale. Un
uomo discutibile, come tutti gli eroi. Ma dovendo, per fortuna, giudicare solo
il calciatore, non c’è dubbio sia stato il migliore”.
Ecco, Maradona è stato semplicemente il migliore. Tutto il resto, tra qualche anno, non interesserà più alla storia del mondo.
DOMENICO STRANIERI
Mio figlio in "pellegrinaggio" a Napoli dopo un infortunio (08.06.2024). |
Nessun commento:
Posta un commento