Dal mensile IN ASPROMONTE di Settembre 2016
Cos’è che lega tra di
loro, tutti insieme, una dimora scavata nella roccia e un concerto, Saverio
Strati e una fotografia, Otello Profazio e Mimmo
Cavallaro, l’Aspromonte e un film interpretato da Gian Maria
Volonté e Stefania Sandrelli?
Vi do subito la
risposta: i versi di un poeta contadino, Roccu “u Jancu”.
Detto “u Jancu” (il
bianco) per il colore chiaro della sua pelle, Rocco Domenico
Pulitanò nacque a Casignana il 10 agosto del 1866. A dire
il vero Casignana non ha mai fatto nulla per “appropriarsi” di questo
fuoriclasse della poesia, così, nell’immaginario collettivo, Roccu “u Jancu” è
di Caraffa (paese dove visse e dove morì il 10 marzo del 1955).
Se c’è, in Calabria, una
forma di letteratura che ha rappresentato in modo autentico la voce di un
popolo (che in molti desideravano muto), questa è la poesia dialettale.
Se si considera, poi,
che i rimatori erano innanzitutto pastori e contadini che, come tanti Omero partoriti
dalla terra, riuscivano a ricordare migliaia e migliaia di versi (scritti
solamente nel libro della memoria) si capirà perché siamo di fronte a
personaggi davvero straordinari.
Basti pensare che,
ancora oggi, le poesie di Roccu “u Jancu” sono sparse in canti
e liriche di grande interesse. Nessuno, però, rammenta il suo nome. E’ come
se Battisti avesse inciso i suoi dischi senza specificare che
i testi erano di Mogol.
A partire dagli anni
’20, difatti, a Caraffa del Bianco era un via vai di gente che
sopraggiungeva per registrare o trascrivere le parole cantate da Rocco
Domenico Pulitanò. Egli era un pastore che durante il giorno dimorava “in
una capanna ricavata nella pietra della montagna”, assistito dal dono
divino di comporre versi in endecasillabo di rara bellezza. Ce ne sono molti,
classificati come “anonimi”, nei volumi della Biblioteca Comunale di
Reggio Calabria. Altri sono stati raccolti da Luigi M. Lombardi
Satriani e dal nipote di Pulitanò, il maestro Rocco Luverà.
Per di più, sono vari i testi impreziositi dal “saccheggio” (probabilmente
inconsapevole) dei versi di Roccu "u Jancu" e
considerati, troppo genericamente, patrimonio musicale della tradizione
popolare calabrese. Da “undi ti
vitti e ti amavi tantu” di Profazio a “ chista
figgliola è fatta cu la pinna, e misurata cu la menza canna” dei
bravi Cavallaro e Papandrea.
Dicevamo
prima che c’è qualcosa che lega tutto questo anche allo scrittore Saverio
Strati e a una fotografia. Il 4 gennaio del 1953, difatti, su suggerimento di Strati, veniva pubblicato un numero della rivista Vie Nuove che si occupava dei poeti contadini di Sant’Agata del Bianco.
L’intento
era quello di determinare e chiarire il “problema dello sviluppo della
cultura popolare” (seguendo la “lezione gramsciana” che accusava gli
intellettuali di essere una casta che si mantiene distante dal popolo). Ebbene,
nella preziosa edizione di Vie Nuove è pubblicata l’unica foto esistente di Roccu “u Jancu”. Ma non solo. Troviamo i versi limpidi ed esatti di questo poeta
ovunque.
Ecco
perché sarebbe opportuno mettere in pratica un lavoro di ricerca metodico e
risolutivo. Ciò permetterebbe, ad esempio, di rilevare che la colonna sonora “Amuri amuri” del film “L’amante di Gramigna” (del
regista Carlo Lizzani), interpretato nel 1969 da Gian Maria
Volontè e Stefania
Sandrelli, include rime di Roccu
“u Jancu”.
Intanto,
il 18
agosto 2016, a Caraffa, è stato
ricordato il 150° anniversario della nascita del poeta. Per l’occasione, i
nipoti hanno distribuito un volumetto con alcuni componimenti inediti.
Ed è
sorprendente rinnovare la scoperta di una tensione generativa che ha portato un
pastore a concepire, con assoluta naturalezza, un’opera illimitata.
“Sinchè
avrò vita, le mie poesie parleranno con me”. Questo disse Roccu “u
Jancu”, nel 1953, a Saverio Strati. E
magari, mentre incrociava gli occhi dello scrittore, già con la mente stava
inseguendo una rima che, chissà come, solo lui poteva riuscire a catturare.
DOMENICO STRANIERI
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