William
Wallace è un personaggio realmente esistito. Per le sue battaglie contro l’esercito
inglese fu giustiziato il 23 agosto 1305 ed è considerato l’eroe
nazionale scozzese. La scena del film che riguarda lo jus primae noctis è sicuramente inventata, eppure in molti luoghi
italiani ed europei vengono sempre narrate vicende che si collegano
direttamente a questo presunto diritto.
A Sant’Agata
del Bianco (RC) una storia fatta di prepotenze ma anche di liberazione è ancora
viva nell’immaginario del suo popolo. Esiste persino una data precisa: il 19 luglio 1661. E si ricorda un nome: Brunello. Era l’epoca in cui in paese
regnava incontrastata, dal 1589, la famiglia dei nobili Tranfo (originaria di
Tropea).
Entrata arco palazzo baronale |
Il
giovane, irriconoscibile e con le sue intoccabili convinzioni, entrando nel
palazzo disse subito di provare molto imbarazzo e chiese di potersi disfare dei
vestiti al buio. Il duca acconsentì e, appena spento il lume, Brunello lo
trafisse senza indugio con il suo coltello, quasi per un moto urgente di rivolta. Dopodiché scappò dal retro del palazzo (lo stesso dove nel 1847 fu ospitato Edward
Lear) e si nascose lungo il pendio che, dopo un vallone, segnava il confine
della terra di Sant’Agata. Nessuno vide o inseguì il fuggitivo, forse solo il
riflesso della luna ravvivò di luce l’arma che teneva in mano. Ecco perché quella
ripida scoscesa, che divide i territori di Sant’Agata e Caraffa del Bianco,
ancora oggi è denominata contrada Brunello.
Pure lo scrittore santagatese Saverio Strati (premio Campiello nel 1977), nel libro La Teda (Mondadori, 1956), espone una storia simile. Uno dei personaggi principali del romanzo, Costanzo, narra che a un giovane molto coraggioso, intelligente e forte gli “dava veramente alle corna dover portare sua moglie al principe”. E dice: “Mia moglie dev’essere mia e di nessun altro. Si deve tagliare una volta per sempre questa cancrena, a costo della vita…”>>.
Pure lo scrittore santagatese Saverio Strati (premio Campiello nel 1977), nel libro La Teda (Mondadori, 1956), espone una storia simile. Uno dei personaggi principali del romanzo, Costanzo, narra che a un giovane molto coraggioso, intelligente e forte gli “dava veramente alle corna dover portare sua moglie al principe”. E dice: “Mia moglie dev’essere mia e di nessun altro. Si deve tagliare una volta per sempre questa cancrena, a costo della vita…”>>.
Così, racconta Costanzo: <<“Si veste lui da donna, e se ne va al castello del principe. Era vestito così bene che nessuno se ne accorse del trucco. I servi fanno entrare questa donna nella camera da letto del principe. Questo era un uomo maligno, grosso e alto. Entra nella camera e dice alla ragazza – e che ragazza!- “Spogliati!”. Il furbo fingeva di non volere, e piangeva. “Su, su, non fare storie!” le dice il principe. “Non lo sapevi che la tua sorte era questa?”. “Principe del mio cuore” gli dice la finta ragazza con voce piagnucolosa, “spegnete il lume, perché io ho vergogna di spogliarmi davanti a voi!”…>>.
Insomma anche ne La Teda la storia, che non dà mai l’impressione di avere un esito provvisorio, si conclude con il principe che muore, lo sposo che scappa dal castello e tutto il popolo che corre in cerca del giovane per portarlo in trionfo per le vie del paese. “E lo chiamarono: Il Liberatore”, conclude Costanzo.
A parte il finale “aggiunto”
da Strati (con il popolo soddisfatto che esulta), c’è da notare che questa vicenda,
raccontata ancora oggi con convinzione pura e semplice dagli anziani di Sant’Agata,
è quasi identica a quella proposta nel romanzo. Strati ha scritto ciò che
ascoltava in paese, da giovane, e nelle sue pagine fa un parallelismo tra i prìncipi
di ieri e i principali di oggi (medico, podestà ecc...). Entrambi, dice Biasi
(un altro personaggio), “vivono sulle nostre spalle, ci succhiano il sangue”.
Il retro del Palazzo baronale, da dove scappò Brunello |
Qualcuno potrà contestare questa leggenda affermando che lo “jus primae noctis” non è mai esistito, che nessun documento storico lo menziona chiaramente e che, al limite, si trattava di un diritto di natura economica (un'imposizione fiscale) pagato dai servi della gleba per ottenere l'assenso al matrimonio da parte del signore feudatario. Ma, ogni tanto, dal mare dei racconti e dei poemi, tra dettagli frantumati d'invenzioni e verità, spunta il relitto di una storia che non vuole cancellarsi.
E allora, lasciateci pensare che, contro le prepotenze ed i soprusi, c’è sempre un momento in cui arriva un uomo che rende giustizia a tutti e, senza chiedere nulla, mantiene una irragionevole promessa. Lasciateci pensare che non abbiamo dimenticato cos'è la libertà, la forza delle idee e delle passioni. Lasciateci, infine, pensare che il popolo non si è ancora arreso e, qualche volta, riesce pure a non acclamare l’eroe sbagliato.
DOMENICO STRANIERI