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giovedì 24 ottobre 2013

"VIAGGIO POSTUMO" NEL MONDO DI DON MASSIMO ALVARO

da IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA del 22 ottobre 2013





Non era facile intervistare Don Massimo Alvaro. Con personaggi come lui, sfuggenti ed evasivi, non esistevano vie di mezzo. O l’intervista non sarebbe mai cominciata o bisognava adoperare qualche stratagemma, un ingannevole gioco linguistico che, naturalmente, lui faceva solo finta di non capire. Aveva, difatti, un’astuzia che solo chi lo conosceva bene poteva afferrare. Sicuramente il suo modo di rapportarsi, mai pienamente aperto, come se fosse eternamente legato ad un segreto da custodire, era qualcosa che caratterizzava anche il fratello scrittore. E di Corrado Montanelli scriveva: “Alvaro parlava poco, ma il poco che diceva della sua famiglia e dell' ambiente in cui era cresciuto, era illuminante”. Di certo anche Don Massimo possedeva una cultura considerevole. Il 2 agosto del 1998 in uno dei suoi tanti “viaggi in Italia” Enzo Biagi  rivelava sul Corriere della Sera che, con Sciascia,  Corrado Alvaro era lo scrittore che amava di più. Subito dopo continuava: << Sono andato a Caraffa del Bianco, a trovare don Massimo Alvaro, il fratello prete. Gli assomiglia, anche se i lineamenti sono più minuti. La chiesa e' dedicata a Santa Maria degli Angeli: da 55 anni don Massimo fa suonare le campane e celebra la messa. La campagna e' segnata dagli ulivi, dai fichi d'India, e dall'agave: "Quando fiorisce muore" dice il vecchio prete. E rievoca l'infanzia, il padre maestro elementare che gli insegnava: "Guai a noi quando la coscienza non parla più ". E Pirandello che disse all'insegnante Alvaro: "Avete un grande figlio" >>. Il mio ultimo incontro con Don Massimo risale al 21 giugno 2009, egli aveva 95 anni ed una lucidità sorprendente. Dopodiché non lo vidi più. L’accordo sottaciuto era che quest’intervista sarebbe stata pubblicata dopo la sua morte, avvenuta il 12 giugno 2011.

Don Massimo iniziamo questa chiacchierata…
Ma cosa vuole che importi alla gente di quello che penso. Io conosco i miei limiti, sono solo un parroco e non certo un personaggio di rilievo.

Allora facciamo così: io la conserverò però voi non la leggerete mai sui giornali
Va bene, anche perché la cosa mi dispiacerebbe molto adesso.

Ve lo garantisco, voi non la vedrete mai pubblicata. Cominciamo, allora, partendo inevitabilmente dalla figura di vostro fratello. C’è qualche aspetto di Corrado Alvaro che non è stato ancora adeguatamente trattato?
Si è scritto molto della narrativa di Alvaro ma poco della sua poesia. Così abbiamo tante pagine che sono le solite pagine, si somigliano. Manca uno studio serio sugli scritti politici. C’è qualche articolo di Alvaro, ad esempio, che preannuncia la crisi della sinistra, ed anche nei diari c’è un po’ dell’Alvaro politico. Io ho donato qualcosa ad un professore napoletano di nome Antonio Palermo ma ho fatto malissimo. Questi scritti, difatti, risalgono soprattutto al periodo in cui mio fratello fu direttore de “Il Mattino” di Napoli. Insomma c’è un’attualità di Alvaro ancora tutta da raccontare.

E dove sono questi scritti?
Non ho un’idea precisa di dove li ho. Ma se li trovo ve li faccio avere con piacere.

Sarebbe interessante, anche se l’Alvaro narratore resta insuperabile.
Certamente. Ricordo, ad esempio, che Montanelli ha scritto che “Gente in Aspromonte” è il libro di novelle più bello del Novecento. Cioè dà un giudizio preciso. Anche autori spagnoli ed europei hanno espresso valutazioni positive su Alvaro. C’è, poi, un messaggio nascosto in “Tutto è accaduto” che nessuno ha ancora inteso.  Non voglio dire altro.

Quando Corrado veniva a Caraffa di cosa parlavate?
Ci incontravamo ogni tanto per 2-3 giorni. Lui era  impegnatissimo, aveva una personalità poliedrica. Oltre ad essere scrittore era pure critico letterario, critico teatrale, persino regista. Quando veniva a Caraffa a trovare mia madre ogni mattina si svegliava presto, faceva un giro,  e poi stava con noi ma non parlavamo di letteratura. Solo una volta mi fece leggere una poesia. Era una pagina scarabocchiata e non si capiva nulla. Mi chiese se era bella, io gli dissi che andava bene ma non riuscì a leggere una parola. Poco tempo dopo, su quest’episodio, Geno Pampaloni scrisse un articolo.

E Pampaloni come faceva a saperlo ?
Glielo avevo detto io.

Corrado aveva un’ idea politica precisa?
Non apparteneva ai partiti, ma era rispettoso nei riguardi delle persone bisognose. Una volta ci trovavamo a Vallerano con Moravia, Gadda, Baldini ed altri scrittori. Piangeva da solo, in un angolo, perché non era riuscito ad aiutare qualcuno. Noi per delicatezza o stupidaggine non ci siamo avvicinati a chiedere spiegazioni. Quel giorno Corrado non partecipò alla conversazione.

Ed il pensiero politico di Don Massimo?
Io non sono mai stato fascista e nemmeno democristiano. Sono solo un cristiano, così come mi vedete.

A proposito di fascismo, qualcuno ha rimproverato ad Alvaro di non essere stato un aperto oppositore del regime..
C’è un saggio di Vincenzo Stranieri, vostro zio, che è molto bello in tal senso. Alvaro poteva essere membro dell’Accademia d’Italia e non lo fu. In quel periodo da Pirandello ad Ungheretti fino a Marconi erano tutti Accademici. Ma Alvaro rifiutò. Vede, ci sono argomenti esterni ed argomenti interni. Fondamentalmente era solo uno scrittore libero stimato anche dai fascisti. Galeazzo Ciano se lo incontrava si fermava a salutarlo. C’è una lettera di Margherita Sarfatti, la quale  riceveva gli intellettuali e gli artisti ogni venerdì, dove si evince che Mussolini apprezzava l’Alvaro scrittore. Ma c’è anche una lettera di mio padre ove Corrado è duramente rimproverato per non essere diventato, poiché non ha voluto prendere la tessera fascista, Accademico d’Italia. Nel 1930 Bompiani stampò un annuario letterario nel quale si chiedeva al Ministro Bottai qual’era il libro che gli era piaciuto di più in quell’anno. Bottai rispose: “Vent’anni,  di Corrado Alvaro”. Io ho anche una lettera di Vittorio Mussolini, che dirigeva la rivista “Cinema”, dove, riferendosi a Corrado, c’è scritto: “Ho ammirato quest’uomo,  pur essendo rispettato non ha mai chiesto niente”. Insomma, possibile che in un tempo in cui quasi tutti erano fascisti il peccato di Alvaro è quello di non aver fatto la rivoluzione? In realtà era critico verso il regime. Gli inglesi, ad esempio, quando uscì “L’uomo è forte” scrissero subito che era un libro contro il fascismo, esistono gli articoli. Ma Corrado aveva la moglie e un figlio, doveva pensare a loro, era un uomo molto equilibrato.

E lei che ricordo ha del fascismo?
La dittatura è sempre deplorevole, leggete Luigi Albertini che già nel 1925 aveva capito che il fascismo era inaccettabile perché si basava sul sangue. Mussolini ha avuto tanti difetti, tuttavia non si può negare che è stato artefice di opere pubbliche notevoli. Ma sostenere che la bonifica dell’Agro Pontino è stata una grande opera non significa mostrarsi favorevoli al regime. Già Leonardo da Vinci progettava delle soluzioni per quell’aria paludosa e malsana, come pure tanti Papi. Aleardo Aleardi, ad esempio, nel canto “Monte Circello” descrive la miseria delle paludi pontine. Corrado disse che quella di Mussolini era un’opera meritoria e questo non gli fu mai perdonato.

Esistono scritti inediti di Corrado Alvaro?
Si, ci sono ancora. E tanti.

Chi li ha?
Qualche cosa ha la Fondazione Alvaro, il resto lo aveva mio nipote Massimo. Anche lui scriveva, usava uno pseudonimo: Massimo Vela. Ma purtroppo è morto.

Cioè il figlio di Corrado e Laura Babini. Lei che donna era?
Era una donna discreta che lasciava molta libertà al marito. Se Alvaro doveva parlare con qualcuno capiva quando era il momento di appartarsi.

Una curiosità: mi hanno detto che anche Don Massimo scriveva…
Ogni tanto mi sono messo a scrivere, ma ho strappato tutto ciò che ho elaborato. Io non sono niente. Ve l’ho già detto: cosa volete che importi alla gente di me.

Prima avete fatto riferimento anche ad Alvaro critico letterario..
Si, perché Alvaro critico letterario era di una ponderatezza enorme che anche la gente comune riusciva a capire. In tal senso ricordo una sua prefazione de “I Miserabili” di Victor Hugo. Una persona di cultura non elevata gli disse: “E’ meglio la prefazione del libro”. Non era vero, naturalmente, ma questo dimostra come chiunque riusciva a comprendere la chiarezza del suo linguaggio.

Uno scritto di Alvaro che consiglierebbe alle nuove generazioni?
Scusate l’immodestia, ma “Lettera al figlio” andrebbe portata in tutte le scuole. Io una lettera così non la trovo nella letteratura italiana.



Caraffa del Bianco, Don Massimo con la madre (1962)

Processione guidata da Don Massimo a Caraffa del Bianco (RC) alla fine degli anni '50

 Sotto, video dell'ultimo saluto a Don Massimo (da Caraffa a San Luca) impreziosito da una riflessione dell'antropologo VITO TETI (presente a Caraffa del Bianco per onorare la figura del parroco).




giovedì 10 ottobre 2013

IL PAESE E LA "RESISTENZA" EROICA DEI NOSTRI SCRITTORI


I nostri grandi scrittori quasi dimenticati

Dal mensile IN ASPROMONTE (Ottobre 2013)

C’è un aspetto che bisognerebbe analizzare con più franchezza e meno “amor di patria” ed è il rapporto tra gli scrittori del nostro territorio e i loro paesi d’origine. Perché se c’è una cosa che la gente “perdona” con più difficoltà è appunto il fatto di scrivere. 
Di un abile falegname tutti, in una piccola comunità, non hanno problemi a dire che è un artista, la stessa cosa succede con un bravo muratore e nessuno si sogna di osservare che nel quadro di un pittore manca il senso della profondità. 
Volto di Saverio Strati in una porta
del centro storico di Sant'Agata
Di uno scrittore, invece, non solo non viene dimenticata una virgola fuori posto o un pensiero inatteso ma verrà sempre rimarcato un difetto caratteriale o un eccessivo individualismo, magari con frasi come : “ma che ha fatto per il paese?”.
Lo hanno vissuto pure i nostri grandi scrittori, oggi pressoché sconosciuti ai giovani, questo clima poco favorevole, anche se non si sono lasciati atterrire dal fuoco incrociato del “sospetto”.
Eppure traspare sempre qualcosa, da una frase come da un silenzio.
In una corrispondenza del 7 aprile del 1955 Mario La Cava scriveva: “La provincia calabrese è troppo provincia, ecco tutto. Mancano per altro le città accentratrici, come potrebbero essere quelle siciliane, e che lo sono purtroppo in minima parte, mancano tante di quelle condizioni obbiettive per cui la resistenza dell’intellettuale, nel suo paese nativo, riveste spesso il carattere di un eroismo disperato”.

Tuttavia, se non fossero nati a San Luca, Bovalino, Careri, San Nicola di Ardore e Sant’Agata del Bianco (o in altri paesi con l’Aspromonte dietro le spalle ed il mar Jonio davanti agli occhi) quasi certamente Corrado Alvaro, Mario La Cava, Francesco Perri, Saverio Montalto e Saverio Strati non sarebbero stati gli scrittori che conosciamo.
Quel Sud che secondo Quasimodo è “dolore attivo” si è fatto parola, e ciò è stato possibile solo in alcuni luoghi precisi.

Per questo, dopo la morte del padre, Alvaro non tornerà più a San Luca. Non aveva bisogno di rinnovare antiche inquietudini, ormai il paese lo aveva dentro. Aveva stabilito definitivamente una sorta di legame silente con le sue radici che molti, però, non riuscivano a giustificare. Perché quella fuga? Vi era in Alvaro qualche intimo risentimento verso qualcuno?
Di certo non tutti compresero il suo reale valore. Dopo la morte dello scrittore, ad esempio, la moglie Laura aveva pensato di donare al Comune di San Luca gli arredi, i tappeti, i quadri, i documenti e i libri dello studio del marito ma le era stato risposto che non c’erano i locali adeguati. Così, oggi, tutto questo si trova a Reggio Calabria, nella Biblioteca De Nava e precisamente nella Sala Alvaro.

Forse ogni tempo per uno scrittore è un tempo mancato, poiché egli non pensa in tempi “economici” ma poetici. Ne deriva che la solitudine è la fatale conseguenza del suo modo di essere. Questa percezione è stata bene espressa, insieme alla “paura di essere scoperto poeta”, da Giuseppe Melina (di Sant’Agata del Bianco): “il paese lievita e si espande in un tempo sbagliato, forse anche la mia casa nasce in un tempo sbagliato. E’ un errore la sua stessa forma (il salone, ampio, la veranda, i castagni in giardino, il portico). Doveva accogliere amici. Ma sono solo.”

E a proposito di Sant’Agata del Bianco, come non menzionare Saverio Strati, il più grande scrittore calabrese vivente. Soprattutto perché Strati grande lo è davvero, anche se con il suo paese ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Gli anziani gli rimproverano di essersi dimenticato delle sue origini, di non aver aiutato la sua gente sul piano socio-politico. Ma lo scrittore, ben consapevole che “ il Sud te lo porti dentro come una maledizione”, ha sempre narrato nelle sue opere profumi, atmosfere e personaggi aspromontani, per di più in movimento, in un continuo divenire “che riempiva le città e svuotava le campagne”. E se è vero che nella sua ultima intervista non ha mai menzionato il nome di Sant'Agata del Bianco, limitandosi a dire che appena arrivato a Firenze si sentiva “prigioniero delle case” poiché il suo paese è in collina e per ventuno anni ha avuto il mare davanti, è altrettanto vero che Sant’Agata è rimasta muta quando nel 1977 Strati vinceva il Premio Campiello con il “Selvaggio di Santa Venere”.

Persino uomini equilibrati non hanno risparmiato critiche a Strati, menzionato addirittura nei versi di qualche poesia dialettale come “uomo irriconoscente e superbo”.
Eppure su una cosa mi piacerebbe scommettere. Secondo me, fra qualche anno ci sarà una presumibile Fondazione Culturale intitolata a Saverio Strati, ed allora, finalmente, lo scrittore, che oggi è ancora in vita, da morto sarà ricordato come un eroe.

DOMENICO STRANIERI





Particolare dello studio di Giuseppe Melina (1920 -2001), scrittore di S.Agata del Bianco (Foto di Simona Marfia)